La storia dell’Istituto presso l’Universita’ di Torino dal 1720 al 1980

Indice

1.1 Il Vecchio Regime.

1.2 Rivoluzione e Restaurazione.

1.3 Risorgimento.

1.4 Dall’unità alla guerra ’15-18.

1.5 Fisica a Torino dal primo al secondo dopoguerra.

1.6 Fisica italiana tra il 1920 e il 1940.

2.1 Il Rinnovamento.

2.2 Aspetti istituzionali.

2.3 L’attività al Laboratorio del Plateau Rosa.

2.4 Emulsioni e palloni.

2.5 Il Laboratorio del Sincrotrone.

2.6 Risonanza di spin elettronico; non conservazione della parità.

2.7 La fisica teorica.

2.8 Visitatori.

3.1 Introduzione.

3.2 Sviluppi concettuali e fisica teorica torinese.

3.3 Alte energie.

3.4 Fisica del cosmo.

3.5 Fisica nucleare ed energie intermedie.

3.6 Altre attività.

3.7 Calcolo.

3.8 Conclusione.

4.1 Ringraziamenti.

4.2 Abbreviazioni.

4.3 Nomi citati.

 

 

Capitolo 1. Dal Regno di Sardegna alla Repubblica.

1.1 Il Vecchio Regime.

La Cattedra di Fisica a Torino ha origini piú antiche che non la Facoltà di Scienze e vale la pena di richiamarne brevemente la collocazione e le vicende a partire dalla rinascita dell’Ateneo, nel 1720.

 

Con la trasformazione in Regno dei Possedimenti del Duca di Savoia, all’Università viene dato un nuovo assetto. L’insegnamento di Fisica è presente con una cattedra nella Facoltà di Medicina, Filosofia e Arti; e poi, col riordinamento del 1737 dell’Università in quattro facoltà, nella Facoltà delle Arti, insieme alla Matematica, alla Filosofia e all’Eloquenza (con annesso gabinetto di macchine).

 

Fino al 1748 l’insegnamento è impartito dai padri Roma prima e Garro poi, dell’ordine dei Minimi i cui appartenenti si dedicavano allo studio dei fenomeni naturali. Per la verità i due padri erano naturalmente piú versati in questioni di etica, e il loro insegnamento era improntato al cartesianismo piú che alla ispirazione galileiana e newtoniana. Ma ciò è naturale: non dimentichiamo che Fontenelle, figura di riferimento tra i cartesiani, muore centenario nel 1757; e che le Lettres Anglaises, in cui Voltaire paragona gustosamente gli ambienti scientifici londinesi (newtoniani) a quelli parigini (cartesiani), escono nel 1734.

 

Il passaggio alla fisica nuova, sperimentale ed aggiornata, avviene con la nomina del p. Giovan Battista (al secolo Francesco) Beccaria (1716-1781) nel 1748. Il Re (Carlo Emanuele III), che voleva nominare il meritevole gesuita newtoniano Francesco Jacquier, si lascia convincere dal conte Morozzo, riformatore degli studi, a firmare il decreto di nomina appunto del p. Beccaria, studioso di matematica e di fisica oltre che erudito conoscitore delle opere degli scienziati, da Euclide a Galileo e Newton. Personaggio appassionato, dedicato alle scienze sperimentali, polemista indifferente alle dispute filosofiche ma non a quelle scientifiche, Beccaria si dichiara galileiano e newtoniano e fautore del metodo sperimentale.

 

La scienza della meccanica è ormai sulla via della formalizzazione. Beccaria si dedica cosí ai nuovi appassionanti fenomeni elettrici e chimici, rifonda l’insegnamento e impartisce un indirizzo moderno alla ricerca, il cui livello diventa paragonabile a quello dei piú vivaci centri europei. Esce nel 1753 il suo trattato "Dell’Elettricismo Artificiale e Naturale Libri Due". Accettando la teoria di Franklin del fluido unico, Beccaria sistema in questo quadro i fenomeni osservati e introduce metodi quantitativi. Il suo è, all’epoca, il migliore trattato di elettrologia: classificazione dei corpi elettrici, funzione del dielettrico nei condensatori, proprietà magnetiche; inventa e usa quella che poi si chiamerà "gabbia di Faraday" con una osservazione fondamentale per l’elettrostatica: "ogni elettricità si riduce alla superficie libera dei corpi senza diffondersi nell’interiore sostanza loro". Discute tra l’altro dell’elettricità delle nubi e in generale della connessione con fenomeni atmosferici e studia la dispersione delle cariche elettriche nell’aria. Cosí diffonde l’uso dei parafulmini, che quindi verranno adottati in Italia prima che altrove. Beccaria fu dunque un fisico di primo piano ben noto in campo internazionale; molto apprezzato, tra gli altri, da Franklin e da Priestley.

 

Alle sue sperimentazioni Beccaria ammette tre giovani colti e dedicati alla nuova scienza sperimentale: il conte Giuseppe Saluzzo di Monesiglio (classe 1734), Gianfrancesco Cigna (stesso anno) e Giuseppe Luigi Lagrange, nato due anni dopo. I tre frequentano il gabinetto e partecipano agli esperimenti; nel 1757 fonderanno la società scientifica che poi nel 1783 con patente regia si trasformerà in Accademia delle Scienze. Tra questo gruppetto e Beccaria si apre però un’aspra contesa a proposito dell’interpretazione della calcinazione dei metalli (era il Beccaria ad aver interpretato giusto, sostenendo sulla base di esperimenti molto precisi che il metallo calcinato pesa di piú e quindi ha assorbito qualcosa dall’aria). Cosí l’atmosfera tra il professore da una parte e i tre giovani dall’altra si guasta. Lagrange percorrerà con ben maggiore perizia i viali della meccanica analitica che non le strade della chimica settecentesca lasciando Torino nel 1767 per Berlino, ospite per 20 anni di Federico il Grande. Cigna fu soprattutto medico assai noto (tanto che il Beccaria lo chiamò al suo letto di morte), anche se continuò a dedicare tempo agli studi di fisica, e il Conte di Monesiglio fu il primo Presidente Perpetuo della Reale Accademia delle Scienze.

 

Si deve al Beccaria, coadiuvato dal p. Canonica (che gli succedette nell’insegnamento dal 1781 al 1788) la determinazione dell’arco di meridiano, tra Andrate e Mondovì, con base topografica sul rettilineo tra l’attuale piazza Statuto e Rivoli. Contro il valore numerico ottenuto di 1 grado 7′ 44” si elevano le critiche di Cesare Cassini (la stima basata sull’ellissoide medio è di 1 grado 8′ 14”); le misure successive del Plana intorno al 1820 stabiliranno la correttezza delle misure di Beccaria e Canonica: l’anomalia rispetto al calcolo teorico è dovuta alla presenza delle Alpi la cui attrazione fa deviare la direzione del filo a piombo.

 

La scuola viene continuata dopo il 1788 dall’abate Giuseppe Antonio Eandi (1735-1799), supplente di Beccaria e professore di geometria prima di assumere la responsabilità della fisica e del suo gabinetto. I suoi interessi sono legati alla medicina, alla tecnica e alla chimica, con ricerche in particolare su aria, combustione, elettricità artificiale ed animale. Il suo trattato, "Physicae experimentalis lineamenta ad subalpinos", scritto in collaborazione col nipote Antonio Maria Vassalli (1761-1825), ha ampia diffusione in Italia e all’estero. Il nipote, che gli succede assumendo il cognome Vassalli Eandi, prosegue con competenza e passione le ricerche su varii aspetti dell’elettrologia; si occuperà anche del sistema metrico decimale.

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1.2 Rivoluzione e Restaurazione.

 

I tempi diventano difficili per gli stati assoluti: l’Università viene chiusa per ordine di Vittorio Amedeo III il 2 novembre 1792. Essa riapre per ordine del Governo Provvisorio il 15 dicembre 1798, e col riordinamento successivo (tranne durante la breve occupazione austro-russa) viene potenziata con l’istituzione di nuove cattedre e scuole e la eccezionale assegnazione (decreto del primo dicembre 1800) di beni già di enti ecclesiastici soppressi. E poi, quando la città viene inglobata nell’Impero francese, col decreto del 10 maggio 1806 l’Università viene a dipendere direttamente da Parigi. Le scuole speciali vengono portate a nove e se ne regola minutamente la disciplina e l’insegnamento, ma se ne dimezzano i proventi finanziari.

 

In questo quadro il 1810 vede nascere la prima Facoltà di Scienze, con nove cattedre (Fisica, Chimica, Mineralogia, Zoologia, Anatomia comparata, Matematica trascendentale, Meccanica, Idraulica, Astronomia). Il modello è l’Ecole Polytechnique. In questo periodo Vassalli Eandi viene chiamato a Parigi come membro della Commission des Poids et Mesures.

 

Nel 1814 la restaurazione riporta l’ordinamento a prima del 1792. La cattedra di Fisica Generale e Sperimentale, il cui titolare è anche direttore del gabinetto scientifico, è dalla restaurazione nella Classe di Filosofia; l’istituizone della Facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche dovrà attendere il 1848. Vassalli si ritira nel ’22 e al suo posto troviamo il p. Giorgio Follini fino al 1826.

 

Ma la tempesta non è passata invano; sono anni esaltanti per la scienza sperimentale e per le matematiche volte a svilupparne la teoria: l’ambiente scientifico all’università torinese è di livello molto alto.

 

Una citazione particolare merita Giovanni Plana (1781-1864), astronomo e fisico matematico. Di Voghera, ma educato alla Ecole Centrale di Grenoble (insieme a Stendhal) perché, ironia della sorte, affidato a una zia acciocché stia lontano, quindicenne giacobino, dalla politica sarda; quindi vincitore, ottavo su 100 partecipanti del concorso lionese, di un posto alla Ecole Polytechnique, dove ha per maestri Lagrange e Monge, viene nominato professore di Astronomia nella nostra università nel 1811 e due anni dopo direttore dell’osservatorio installato sui tetti del palazzo dell’Accademia delle Scienze.

 

Con il ritorno dei Savoia la Facoltà (di creazione napoleonica) viene soppressa e cosí anche la cattedra di Plana, che diventa professore di analisi e titolare della Meccanica Razionale presso l’Accademia Militare. Famoso ed unanimemente apprezzato, Plana passa indenne attraverso le vicende del ’21 e successive. Apprezzato dal re, ottiene di sistemare in maniera conveniente l’osservatorio in un nuovo edificio sovrapposto ad una delle antiche torri di Palazzo Madama, posizione allora consigliata per le ricerche (fu solo nel 1911, dopo l’illuminazione a gas ed elettrica e l’aumentato inquinamento ottico, che l’osservatorio fu portato a Pino).

 

Ricordiamo la determinazione, condotta sotto la sua direzione da una commissione di ufficiali sardi e austriaci, dell’arco di parallelo medio tra l’equatore e il polo mediante una serie di accurate misurazioni sia astronomiche che topografiche che collegarono tra l’altro la rete francese a quella austriaca (e gli fruttarono una alta decorazione austriaca).

 

L’opera che lo rese famoso fu la teoria del movimento della luna, che a differenza delle tavole precedenti non richiede continue correzioni sperimentali e supera la trattazione del Laplace del 1802 (nella Mécanique Celéste) vincendo cosí il premio istituito, per suggerimento dello stesso Laplace, dall’Accademia di Francia.

 

Amedeo Avogadro (1776-1856), eccezionale figura di chimico e fisico, laureato in giurisprudenza ma profondamente interessato alla matematica e alla struttura della materia, dal novembre 1809 è professore al liceo di Vercelli; aveva già alle spalle alcuni lavori di elettrologia e di chimica (natura dei sali metallici). Durante il soggiorno a Vercelli pubblica le due memorie (1811 e 1813) in cui formula la sua famosa ipotesi sulla costituzione della materia. Questa sua ipotesi tarderà ad essere accettata; ma oggi una delle costanti fondamentali della fisica porta il suo nome.

 

La sua attività si manifesta nelle molte pubblicazioni scientifiche, che per la maggior parte trattano argomenti di chimica – fisica molecolare. Questa scienza, insieme alla cristallografia, trova una straordinaria sistemazione nel ponderoso trattato (3700 pagine) "Fisica de’ corpi ponderabili, ossia Trattato della costituzione generale de’ corpi", Torino, Stamperia Reale, 4 voll. 1837-1841.

 

Viene istituita e affidata all’Avogadro nell’ottobre 1820 la cattedra di Fisica Sublime (prima in Italia). Questo insegnamento tratta dei principii matematici delle scienze naturali (dal 1860 prenderà il nome di Fisica matematica che conserva ancora oggi). Ma l’insegnamento viene soppresso con decreto 24 luglio 1822; invano le note caratteristiche compilate quell’anno recitano "Avogadro cav. Amedeo, professore di Fisica Sublime. Situazione politica: nulla da ridire. Reputazione sufficiente. Non si può dire che il cav. Avogadro sia attaccato al trono e a Sua Maestà, ma nei rivolgimenti di questi tempi si è comportato senza dare nulla a ridire." L’Avogadro non deve aver mostrato sufficiente solerzia nel frenare o biasimare gli studenti turbolenti del 1821: gli viene concessa una piccola pensione dall’Università (600 L. all’anno) e nel ’24 viene nominato Mastro Uditore nella Regia Camera dei Conti.

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1.3 Risorgimento.

 

Nuovi anni di turbamento per i vecchi regimi si aprono con gli eventi del luglio 1830 in Francia: la nostra Università chiude puntuale tra il ’30 e il ’32. L’insegnamento della Fisica Sublime viene ripristinato nel 1832 per accogliere il grande Cauchy che, leale ai Borboni, dopo il cambiamento di regime accetta la cattedra a Torino, con uno stipendio per la verità abbastanza ridotto rispetto a quello parigino. E quando il Cauchy se ne parte per Praga a fare il precettore al giovane pretendente Borbone, Avogadro rientra, ma in modo non troppo ufficiale, nell’insegnamento della Fisica Sublime, con disposizione regia del 28 novembre 1834 "per l’insegnamento provvisionale finché venga da noi altrimenti disposto". E il Calendario Generale pe’ Regi Stati, pubblicato per ordine del Re dalla Segreteria di Stato, per gli anni seguenti mostra l’indicazione N.N. per quella cattedra che Avogadro terrà fino al 1850. Il Calendario, ribattezzato nel 1850 Calendario Generale del Regno, associa di nuovo un nome alla cattedra nel 1854, quando essa viene affidata provvisoriamente a Felice Chiò (allievo dell’Avogadro) che ne diventa titolare l’anno dopo.

 

Nel 1828 la cattedra di fisica viene assegnata a Giuseppe Domenico Botto (1791-1865), che aveva seguito gli studi prima a Genova poi alla Ecole Polytechnique. Architetto, capitano del Genio, aveva in qualche modo partecipato ai moti di Alessandria del marzo 1821, per cui era stato costretto ad abbandonare l’esercito "demissionato senza l’uso dell’uniforme". Nominato dal Re professore di fisica nel 1828, la sua patente viene sospesa affinché una rapidissima indagine ministeriale (dal 5 al 9 giugno) esamini la sua compromissione nei fatti del ’21; stranamente, il Ministro Barbaroux comunica il 21 alla Segreteria di Stato che "S.M. rimasta intimamente appagata dagli schiarimenti trasmessi da S.E. il Marchese Brignole sul conto del S.e Architetto Botto m’impone di scrivere a V.S. Ill.ma di dar corso alle patenti per le quali viene egli nominato professore di fisica sperimentale."

 

L’ attività sperimentale del Botto è dedicata a temi rilevanti per l’epoca: effetti magnetici, termici e chimici delle correnti elettriche e induzione. Nell’agosto del 1834 in una nota riferisce la realizzazione di un prototipo di motore elettrico di cui sta sperimentando un modello; nel 1836 segue la memoria alla Accademia che descrive una "Machine Loco-motive mise en mouvement par l’électro-magnétisme", a moto rotatorio. Seguono negli anni una serie di lavori sui bilanci energetici dei circuiti elettromagnetici per il miglioramento dell’efficienza e il potenziamento delle macchine elettriche. L’ultimo lavoro, del 1849, propone un nuovo sistema di codificazione e trasmissione per il telegrafo elettrico, realizzato nel laboratorio dell’università. Il Botto svolse anche, come era naturale, una notevole opera di diffusione della cultura scientifica, con conferenze e pubblicazioni popolari non soltanto di fisica (interessante un "Catechismo Agrologico, ossia principii di Scienza applicati all’Agricoltura" Torino Stamperia Reale 1846, di notevole importanza per diffondere le tecniche atte a migliorare l’agricoltura piemontese). La ricca biblioteca personale del Botto, donata all’università, costituisce il primo nucleo della Biblioteca di Fisica come ente separato presso l’Istituto di Fisica. Con il Botto quindi l’attività di fisica presso la nostra università mantiene un alto livello.

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1.4 Dall’unità alla guerra ’14-18.

 

Silvestro Gherardi (1802-1879), romagnolo, altro esempio di quella generazione di scienziati direttamente impegnati nel rinnovamento politico, partecipò agli avvenimenti del ’48-49 e fu ministro della P.I. della breve repubblica Romana. Rifugiato nel regno di Sardegna, dal 1857 al 1861 ricopre la cattedra di Torino e la direzione del gabinetto scientifico (fu poi deputato della Romagna al primo Parlamento). Esperto di elettricità e di ottica, fu storico della scienza e gli dobbiamo tra l’altro la pubblicazione dei testi delle dispute tra Tartaglia e Ferrari (1547) sulla risoluzione delle equazioni algebriche cubiche. Ma naturalmente il suo impegno torinese è troppo breve. Gli segue tra il ’62 e il ’78 Gilberto Govi (1826-1889), combattente mantovano del 48-49 ed esule in Francia, dove studiò la fisica. Oltre a studi e misure su svariati argomenti, Govi si occupò anche di storia della scienza con una importante edizione dell’Ottica di Tolomeo e studi su Leonardo e Galileo. Dal 1872 fu quasi sempre a Parigi, membro della commissione internazionale pesi e misure e primo direttore del Bureau International des Poids et Mesures.

 

Nonostante non fosse professore all’università (ma faceva parte del Collegio associato alla facoltà) è d’obbligo ricordare l’attività di Galileo Ferraris (1847-1897), ingegnere, professore di Fisica tecnica al Regio Museo Industriale, che venne poi annesso al Politecnico; famoso per aver progettato e realizzato i motori elettrici a corrente alternata. Fu persona di grande onestà ed estremo altruismo; non volle brevettare le sue invenzioni e rifiutò una ingente somma per il brevetto da una compagnia americana, perché riteneva che la scoperta dovesse essere posta al servizio di tutti. "Sono un professore, non un industriale" ebbe a dire a proposito dell’offerta, ed era una constatazione, non un atto di alterigia.

 

Ma, in paragone alla Fisica francese ed inglese e soprattutto a quella tedesca (Paesi molto piú ricchi), sulla fisica italiana, tra la seconda metà del secolo e gli anni della rinascita (dopo il 1920), pesano le condizioni generali. I fisici sono pochi: le cattedre di Fisica (essenzialmente Fisica Sperimentale e Fisica per Medicina) sono 13 nel 1872 e 20 nel 1927; nel 1872 gli assistenti sono 15 mentre nel 1927 saranno 45. È ben vero che fanno ricerca in fisica un certo numero di professori di ruolo dei Licei (anzi, questo è in quasi tutte le discipline un canale abituale di reclutamento della docenza universitaria). Ma il numero globale resta scarso e i fisici sono diluiti tra le diverse sedi. In un buon Istituto di Fisica troveremo tipicamente un professore ordinario, un assistente o due, un tecnico o due, un custode, e talvolta un professore incaricato. L’Italia umbertina è povera; non vengono assegnati fondi per la ricerca da parte dell’amministrazione centrale, le dotazioni per le necessità quotidiane degli Istituti sono assegnate in sede universitaria.

 

 

Nota: La condizione della Fisica in Italia è descritta in: Giuseppe Giuliani, "Il Nuovo Cimento, 90 anni di fisica in Italia 1855 – 1944", Percorsi della Fisica, La Goliardica Pavese, Pavia 1996. Vedere anche "20th Century Physics: Essays and Recollections, a Selection of Historical Writings by Edoardo Amaldi", Editors Giovanni Battimelli and Giovanni Paoloni, World Scientific Singapore 1998, p. 141 (citato in seguito come Amaldi).}

 

 

A paragone la matematica sta molto meglio: le cattedre sono 59 nel 1872 e 64 nel 1927. E il rapporto numerico vale anche per gli scienziati di eccellenza. Ma la caratteristica quasi generale fu l’incapacità di adattarsi ai tempi nuovi, ai problemi posti dalla fisica atomica e dalla radioattività, alla teoria quantistica e alla relatività, quest’ultima lasciata ai matematici. Bisognerà aspettare Corbino e gli anni 1920 perché in Italia inizino attività a quei livelli; e il numero dei nostri fisici di grande valore sarà scarso fino al rinnovamento degli anni ’20 e ’30.

 

Cosí, mentre la Matematica ha numeri che permettono di figurare bene, la Fisica italiana vive senza grandi mezzi. Forse c’è, diffusa, una sensazione che i principii della fisica siano noti (l’elettromagnetismo sembra sistemato teoricamente con il trattato di James C. Maxwell (1831 – 1879) uscito nel 1873). I problemi sembrano riguardare i motori, le applicazioni delle correnti elettriche, l’illuminazione, le costruzioni civili e navali, i trasporti; lo studio della conformazione della materia in piccolo sembra lasciato alla chimica. L’astronomia è essenzialmente una scienza matematica, osservazione e deduzione delle traiettorie dei corpi celesti, tranne per i pionieri dell’astrofisica che smentiscono Auguste Comte (1798-1857) che aveva dichiarato nel 1835 l’impossibilità di conoscere la composizione delle stelle perché non si possono toccare (ma era già morto quando l’astrofisico padre Angelo Secchi (1818 – 1878) faceva misure di spettroscopia).

 

La matematica si dedica, con successo, a sviluppare nuovi campi affascinanti e ricerche di grande rilievo come la geometria differenziale saranno poi fondamentali per la comprensione e lo sviluppo della Relatività. Ma la Fisica matematica rimane caratterizzata dall’attenzione per gli sviluppi matematici e la loro eleganza formale piuttosto che per il contenuto fisico, e da un interesse quasi nullo per i dati sperimentali, restando nel proprio bozzolo (ne seguirà tra l’altro una certa attenzione dei matematici verso la Relatività mentre la Teoria dei Quanti verrà trascurata da tutti).

 

D’altra parte la Fisica da noi è essenzialmente Fisica sperimentale. Manca, in genere, la guida della teoria. è ben vero che i professori di Fisica sperimentale conoscono le teorie relative alle loro ricerche; ma la fisica si sta avviando verso una complessità formale senza paragone con la fisica dell’800 e la comunità dei fisici italiani sarà sguarnita di fronte alle novità né, la Fisica matematica ricopre questo ruolo. Solo con la promozione della componente teorica (le prime 3 cattedre di Fisica teorica sono assegnate nel 1927) se ne porrà rimedio.

 

In particolare a Torino, tra gli ultimi decenni del secolo e la seconda guerra, la fisica accentua un carattere eclettico ed eccessivamente empirico, con sottovalutazione delle indicazioni teoriche, lontana dai grandi temi. Essa si disperde nell’analisi del comportamento dei corpi materiali, senza centrare, perlopiú , le questioni piú interessanti.

 

Andrea Náccari (1841-1926) tenne la cattedra di Fisica Generale e Sperimentale dal 1878 al 1916. Proveniva dall’Università di Padova.

 

Termologia, chimica-fisica, elettrostatica, termoelettricità, conduzione nei gas, fotoelettricità furono le ricerche perseguite. Secondo la nomenclatura di G. Giuliani

 

 

Nota: G. Giuliani, Op.Cit. p. 110.

 

 

si tratta di Fisica Classica e Proprietà dei Materiali. Náccari fu un bravo sperimentatore di grande pulizia e perizia tecnica, i suoi esperimenti erano ben preparati e i risultati molto affidabili. Mancava però la fisica moderna: spettroscopia, atomismo (di cui pur Avogadro è uno dei fondatori), raggi catodici, radioattività, fisica dei quanti etc. Cosí sono lontane le grandi questioni teoriche, come la termodinamica e la meccanica statistica, la struttura della materia, l’elettrodinamica e la questione dei sistemi inerziali.

 

Da notare una serie di esperimenti alla ricerca di effetti di schermaggio della gravità, eseguite con bilancia di torsione, non in grado naturalmente di rilevare alcun effetto, e i tentativi di rilevare l’esistenza dell’etere (in contrasto alla relatività einsteiniana) ispirati dai colleghi Quirino Majorana (1871 – 1957) e Tommaso Boggio (1877 – 1963).

 

L’Università di Torino era allora molto nota in tutta l’Italia. benché abitualmente non ci si faccia caso, Torino era anche una città goliardica , come certa letteratura ci ricorda, e la comunità studentesca costituiva una componente non trascurabile della vita cittadina. Era in parte un’eredità risorgimentale, in parte un atteggiamento piuttosto tollerante delle autorità e laico nella borghesia, a differenza di altre grandi città d’Italia. Gli studenti affluivano a Torino da molte parti d’Italia, dal Sud come dall’Italia centrale (dopo il 1918 ci furono molti studenti anche da Trieste e dall’Istria); la partecipazione di studenti di altre regioni restò cospicua a fisica fino agli anni ’60 e al Politecnico è durata fino ai nostri giorni.

 

Náccari ebbe quindi parecchi studenti da fuori, alcuni dei quali occuparono poi cattedre di prestigio rispettivamente a Pisa e a Firenze: Andrea Battelli (1862 – 1916) e Antonio Garbasso (1861 – 1933). Il primo fu uno dei fondatori della Società Italiana di Fisica; Garbasso seppe promuovere a Firenze la formazione di un gruppo di giovani della nuova scuola quantistica e particellare di cui si dirà.

 

Sia Battelli che Garbasso ripeterono l’operazione intrapresa da Náccari a Torino costruendo gli istituti nuovi di Pisa e Firenze che sono stati occupati dai fisici per generazioni, fino ad oggi. Dobbiamo infatti a Náccari l’iniziativa della costruzione del nuovo Istituto di corso D’Azeglio, inaugurato nel novembre 1898. La pianta era a forma di H, aveva due piani (il terzo piano fu aggiunto nel 1961), un piano sotterraneo ed era progettato con moltissimo spazio libero. La parte Sud era occupata dall’Istituto di Igiene. Esso è ancora in uso, tranne il braccio Sud – Ovest (della ex Igiene) che fu abbattuto nel 1969 per fare posto al nuovo istituto. Era un grande progresso rispetto alle due stanze e al laboratorio che Fisica occupava nell’edificio di via Po.

 

La costruzione fu finanziata, insieme agli altri istituti del Valentino, da un Consorzio cui partecipavano Comune, Provincia e Governo. In realtà l’Istituto , la cui costruzione cominciò nel 1886, venne terminato già nel 1893, ma per quattro anni mancarono i soldi per arredarlo. Confrontate con i tempi di costruzione del nuovo istituto di via Giuria: dal 1969 al 1986.

1.5 Fisica a Torino dal primo al secondo dopoguerra.

 

Andato Náccari fuori ruolo, la Facoltà chiamò nell’ottobre 1916 da Genova Luigi Puccianti (1875 – 1952) che pero` nella primavera accettò la cattedra a Pisa da cui proveniva. Fu quindi chiamato Alfredo Pochettino (1876-1953) che resse la cattedra di Fisica sperimentale dal 1917 al 1946. Non partecipe al rinnovamento della nuova fisica quantistica e relativistica, Pochettino si dedicò a ricerche su varii aspetti classici: elettricità, atmosfera (con lanci di palloni sonda), geofisica. Aveva poca consuetudine con la teoria della fisica. Teneva lezione di Fisica I e II ad anni alterni ed i suoi corsi di elettromagnetismo, di cui esistevano semplici dispense, si fermavano assai prima delle equazioni di Maxwell. Pochettino fu Preside e Rettore. Fu Presidente dell’Accademia delle Scienze e suo Commissario alla Liberazione. Chi lo conobbe (in sua età avanzata) lo descrive come un signore riservato e cortese, dall’aria distaccata, l’accento vagamente romano, che amava la musica e faceva concerti in casa con le figlie. Quanto alle capacità sperimentali, almeno nell’ultimo periodo si era impigrito: lo studente che proponesse qualche sperimentazione si vedeva smontare ogni iniziativa; per le ricerche che egli assegnava come tesi o sottotesi non dava consigli sulle procedure che garantissero l’affidabilità dei risultati.

 

Una assistente di Pochettino e professore incaricato negli anni ’20 e ’30 fu Giuseppina Aliverti (1894 – 1982) che si specializzò nella fisica terrestre ed ebbe una carriera di successo in quel campo. Lasciò Torino per Pavia nel 1937, mantenendo stretti rapporti fino al trasferimento all’Istituto Universitario Navale di Napoli nel 1949. Un altro assistente e professore incaricato dalla personalità di grande rilievo fu Antonio Rostagni (1903 – 1988), che lasciò Torino nel 1935, professore a Messina e dal 1938 a Padova dove ebbe un ruolo fondamentale.

 

Gli ultimi contributi scientifici, con Giuseppe Lovera, riguardano l’elettricità per gorgoglío, di interesse per stabilire la carica elettrica della pioggia ma di scarsa rilevanza nel prosieguo della fisica. È un peccato che quelle misure di scarica dei condensatori nell’atmosfera non abbiano dato luogo a indagini che, saggiando varie condizioni ambientali, avrebbero potuto rivelare che gli agenti responsabili della ionizzazione (i raggi cosmici) provenivano dal cosmo, come concluse Domenico Pacini dagli esperimenti condotti tra il 1907 e il 1912.

 

 

Nota: Per gli esperimenti di Pacini e in generale per la storia della fisica sotterranea, vedere C. Castagnoli e O. Morra, "Sul contributo italiano alla fisica cosmica sottoroccia dal 1905 ad oggi", Giornale di Fisica vol. XXXV, N. 1-2, 1994 pp. 101 – 126.

 

 

Enrico Persico (1900-1969), proveniente dalla scuola romana, grande esperto di meccanica quantistica, fu chiamato a Torino a reggere la nuova cattedra di Fisica Teorica nel 1930 per l’interessamento di F.G. Tricomi che l’aveva conosciuto a Roma. Tricomi dovette superare sia la resistenza di Somigliana (che stimava Persico ma, da buon fisico matematico, non vedeva le ragioni di una cattedra di Fisica teorica) che l’indifferenza di Pochettino. Con la messa a riposo di Somigliana Persico tenne anche il corso di Fisica matematica. E, sia pure in anni difficili, preparò un gruppo di giovani con un lavoro i cui frutti verranno raccolti dopo la guerra. Persico ebbe uno studio presso l’Istituto di Fisica sperimentale, ma aveva pochi contatti con gli altri abitanti dell’Istituto, a parte Nicolò Dallaporta. La sua presenza gettò un seme importante negli studenti preparando la rinascita del dopoguerra. Tra coloro che ne risentirono l’influenza, oltre Dallaporta, troviamo Tino Zeuli (1909 – 1987), Carola M. Garelli, Guido Bonfiglioli, Luigi A. Radicati di Brozolo, Francesca Demichelis, Marcello Cini, Augusto Gamba.

 

Ma Persico, scoraggiato dalle condizioni del dopoguerra, partì per il Canada nell’autunno 1947. Il corso di Fisica teorica fu tenuto per supplenza da Piero Caldirola nei due anni successivi e da Gleb Wataghin per incarico nel 1949/50.

 

Negli ultimi anni della direzione Pochettino gli abitanti dell’Istituto continuavano ad essere pochi. A parte Persico

 

 

Nota: Persico era Direttore e unico appartenente dell’Istituto di Fisica Teorica e dunque era ospite dell’Istituto di Fisica sperimentale.

 

 

nell’istituto intorno al 1940 stavano il Professor Pochettino e quattro assistenti: l’aiuto Pompeo Colombino (1907 – 1982), Giuseppe Lovera (1912 – 1990), Giovanni Bertolino (1915 – 1960) e Dallaporta. Bertolino e Dallaporta erano gli assistenti giovani e divennero buoni amici. Si occupavano delle fisichette ed erano complementari: Bertolino era molto abile nelle questioni tecniche mentre Dallaporta era di formazione teorica.

 

 

Nota: Dallaporta si era laureato a Bologna e seguì il prof. Orazio Specchia che nel 1934 aveva preso la cattedra a Catania. Invogliato dal prof. D. Graffi, allora a Torino, partecipò nel 1938 ad un concorso nazionale per assistente. La condizione impostagli da Pochettino per far parte dell’Istituto di Fisica sperimentale fu che facesse ricerca sperimentale; e cosí Dallaporta si inventò quelle ricerche sui momenti di dipolo delle molecole di cui vedremo piú avanti. Vedere N. Dallaporta, "La mia esperienza di studio e di vita", Annali di Storia dell’educazione, Ed. La Scuola, 1988, 5, pp. 249-260.

 

 

Bertolino fu chiamato sotto le armi nel 1940 e tornò solo nel 1945. Romolo Deaglio (1899 – 1979), esperto in misure di precisione su stato solido e in elettronica, proveniva dalla scuola di Perucca al Politecnico,

 

 

Nota: Eligio Perucca (1890 – 1965) era un personaggio bizzarro, di grande intelligenza e vivacità ed era un bravissimo sperimentatore; purtroppo era un fisico classico. Conosceva bene, ed aveva sperimentato, la teoria quantistica del corpo nero, come conosceva l’atomo di Bohr – Sommerfeld; conosceva la Relatività speciale, che era però considerata in genere una teoria di interesse matematico. Non aveva invece dimestichezza con gli sviluppi della meccanica quantistica moderna e dunque non si interessò alla nuova fisica in un periodo delicato. Lasciava che gli assistenti conducessero le loro ricerche nel poco tempo libero, se ne aveva fiducia.

 

 

ebbe una cattedra di Fisica superiore a Cagliari nel 1939. Chiamato alla cattedra di Fisica Superiore a Torino nel 1942 (la resse fino al 1969), se ne stava a dirigere una sezione dell’Istituto Elettrotecnico Galileo Ferraris, frequentando l’Istituto di Fisica Sperimentale solo per le lezioni. C’erano, negli anni ’40, due tecnici, i signori Carlo Vaschetti e Gaetano Masera, un famoso bidello che si occupava dei laboratori di fisichetta (Giovanni Giacosa che andò in pensione nel 1952, sostituito da Giacomo Trinchero), il falegname Carlo Rubino,

 

 

Nota: La famiglia di Rubino perì a Cavoretto sotto una bomba mentre lui si trovava all’Istituto.

 

 

il custode che abitava al piano rialzato nell’ala nord – ovest (Giovanni Botto, sostituito nel dopoguerra da Giuseppe Rocca, che abitò invece nella soffitta della stessa ala) ed era tutto.

 

Al primo piano era sistemata la biblioteca (attuale sala Wataghin) il cui arredo risale all’Istituto originale del 1898; si poteva entrare, guardare libri e uscire senza controlli; un furto era inconcepibile. Accanto alla biblioteca stava il Direttore Pochettino. Adiacente a nord c’era, in uno stanzone, il laboratorio personale del Professore (fu poi, ripulito, lo studio del prof. Wataghin negli anni ’50). Sempre al primo piano, di fronte allo studio di Persico un altro stanzone serviva da stanza per riunioni.

 

 

Nota: Diventò poi lo stanzone dei teorici in cui tutti i laureati teorici tra il ’50 e il ’60 risiedettero. Nel 53-54 vi troneggiava Regge che scriveva con aria diabolica su un enorme registro da inventario poggiato su di una vecchia scrivania nera dotata di una rientranza a semicerchio in modo da circondare lo scrivente da tre lati.

 

 

Enrico Persico occupava una stanza al primo piano (quella che fu poi di Mario Verde, dove nel 1961 fu ricavato un ascensore); adiacente a nord si trovava una scala secondaria (ce n’erano ben due oltre allo scalone, tali da soddisfare qualsiasi norma anti incendii). Dopo lo studio di Persico il corridoio era chiuso, al di là vi era il misterioso Istituto di Igiene, che non aveva alcuna comunicazione con la Fisica.

 

I laboratori 1 e 2 (le "fisichette") erano al piano terreno, lato nord; il bidello Giacosa vi imperava: redarguiva, dava consigli, insegnava a manovrare gli apparecchi e alla fine faceva le esperienze con gli studenti (cui elargiva il titolo di "dottore" dall’inizio del quarto anno). Al piano terreno stavano anche Colombino (sotto Pochettino) e Dallaporta (sotto Persico). Di fronte a Dallaporta, un’aula per i fisici (poi chiamata aula A). Lo studio di Lovera, assistente prediletto del professore e l’unico con cui discutesse, era al primo piano di fronte allo studio di Pochettino, mentre Bertolino stava in una stanza scaldata in fondo alla "Siberia" (vedere piú avanti).

 

Il laboratorio del terzo anno stava nel sotterraneo ma praticamente era dappertutto: il prof. Pochettino assegnava qualche vago compito e lo studente doveva arrangiarsi da sé in stanze polverose tra apparecchi abbandonati di ogni genere magari divertendosi a mettere in funzione qualcosa, o almeno capire il funzionamento di quel che la sorte gli aveva messo tra le mani. Colombino si occupava della parte elettronica; era ben lieto di insegnare i fondamenti dell’elettronica a chi desiderasse accostarvisi, il resto non lo riguardava.

 

Tutto il resto erano stanzoni in cui gli apparecchi si accatastavano. Al primo piano, al fondo della parte Nord, nel braccio Ovest, c’era una zona quasi sgombra (forse l’unica), priva di riscaldamento (era chiamata la Siberia) in cui gli studenti, con l’aiuto di una stufa a legna che il misericordioso Giacosa accendeva, (durante la guerra bisognava portare la legna) si sistemavano per condurre le loro ricerche.

 

Alla fine degli anni trenta chi ricorda la vita dell’Istituto la descrive cosí: alcune stanze con qualcuno dentro, tanti stanzoni con apparecchiature accatastate e niente vita in comune. Nel caso di Persico, che aveva una conoscenza robusta delle cose importanti, la cosa aveva i suoi lati positivi: Persico aveva molto tempo per lavorare, era informato in modo operativo su ogni aspetto della fisica e chi bussava alla sua stanza trovava un tesoro di informazioni e di consigli.

 

Il Direttore veniva raramente, non si informava delle attività scientifiche degli assistenti e si rinchiudeva nel suo studio – laboratorio (e aleggiava nel corridoio il sentore del suo sigaro toscano). In questo non si discostava molto da molti suoi colleghi (non tutti) che dirigevano altri istituti. Ciò era vero sia in Fisica che in altre discipline, ma per la fisica, sia il divario rispetto agli istituti dove si faceva fisica moderna che il paragone con l’espansione del decennio successivo rendono piú evidente questa situazione di stagnazione. Testimoni del periodo qui descritto mi hanno assicurato che, a parte l’insegnamento di Persico e gli interessi di Dallaporta, non v’era stimolo a interessarsi di fisica.

 

La piú vivida descrizione delle condizioni dell’Istituto è data da Primo Levi che vi lavorò nel 1941 da allievo interno:

 

 

Nota: Primo Levi "Il Sistema Periodico", capitolo Potassio; Giulio Einaudi Editore, Torino 1994 p. 56.

 

 

"L’interno dell’Istituto di Fisica Sperimentale era pieno di polvere e di fantasmi secolari. C’erano file di armadi a vetri zeppi di foglietti ingialliti e mangiati da topi e tarme; erano osservazioni di eclissi, registrazioni di terremoti, bollettini meteorologici bene addietro nel secolo scorso. Lungo la parete di un corridoio trovai una straordinaria tromba, lunga piu’ di dieci metri, di cui nessuno sapeva piu’ l’origine, lo scopo e l’uso: forse per annunciare il giorno del Giudizio, in cui tutto ciò che si asconde apparirà. C’era una eolipila in stile Secessione, una fontana di Erone, e tutta una fauna obsoleta e prolissa di aggeggi destinati da generazioni alle dimostrazioni in aula: una forma patetica ed ingenua di fisica minore, in cui conta piú la coreografia del concetto. Non è illusionismo né gioco di prestigio, ma confina con loro."

 

Levi racconta di aver chiesto invano nel 1940 a parecchi chimici di diventare allievo interno; per timore o per fede fascista, l’allievo ebreo era indesiderato. Trovò invece a Fisica un "Assistente".

 

 

Nota: L’"Assistente" di cui parla Levi in quel capitolo è Nicolò Dallaporta, che mi ha detto di non aver mai incontrato un ragazzo dall’intelligenza cosí evidentemente straordinaria come lo studente Primo Levi; i due divennero amici.} che suggerì un soggetto e diede la possibilità di svolgere all’Istituto di Fisica le attività sperimentali richieste per poter conseguire la laurea in chimica (la tesi, teorica, fu svolta col prof. Ponzio. Levi passò l’esame di laurea a pieni voti e lode il 12 giugno 1941 presentando come tesina il lavoro fatto all’Istituto di Fisica sperimentale).

 

 

Arrivato a Torino nel marzo 1938, Dallaporta, come mi disse recentemente, non aveva idee precise su cosa fare in fisica e si era presentato a Persico per un orientamento sugli studi da intraprendere. Questi gli propose di leggere il Mott e Massey (urto quantistico) e gli suggerì di studiare gli urti ione – atomo. Dallaporta impostò e condusse a buon fine uno studio teorico dell’urto ione He contro atomo di He. Questo lavoro gli fece guadagnar credito a Padova, perché Rostagni, quando era ancora a Messina, aveva fatto esperimenti proprio su quel fenomeno e i suoi risultati coincidevano con i calcoli di Dallaporta che Persico gli aveva mostrati. Cosí dall’autunno 1940 Rostagni gli offrì due incarichi a Padova dove Dallaporta si trasferì nell’autunno 1942, quando si liberò un posto di assistente. Dallaporta ebbe la cattedra di Fisica teorica a Padova nel 1947. Gli altri vincitori del concorso furono Bruno Ferretti e Piero Caldirola.

 

Parecchi dei macchinari ed apparati radunati negli stanzoni venivano cannibalizzati dai tecnici per produrre nuovi apparecchi. Nel novembre 1942 uno spezzone incendiario danneggiò gravemente tutta l’aula magna e i locali adiacenti. Il recupero di apparecchi dalle macerie fu lungo e penoso. Negli anni della guerra Giacosa trasformò il grande giardino verso il Corso in un meraviglioso orto: ogni genere di ortaggi cresceva con quelle cure. Anche le aiuole tra i vialetti dal lato di via Giuria producevano rigogliosi fagioli e pomodori.

1.6 Fisica italiana tra il 1920 e il 1940.

 

Sul piano nazionale in quegli anni dal ’20 al ’40 molte cose erano successe.

 

 

Nota: Per la storia degli anni tra il 1920 e il 1960 si veda Amaldi, op. cit., Castagnoli e Morra, op. cit., C. Castagnoli, "I 50 anni del Laboratorio della Testa Grigia", Quaderni di Storia della Fisica 3, 1998, pp. 53 – 126.

 

 

A Roma per iniziativa del direttore Orso M. Corbino (1876 – 1937) si era sviluppato il ben noto gruppo; nel ’27 si era tenuto il primo concorso a cattedre di fisica teorica, vinto nell’ordine da Fermi (1901-1954) (che prese la cattedra a Roma), Persico (che andò a Firenze) e Aldo Pontremoli (1896 – 1928) a Milano.

 

 

Nota: Pontremoli perse la vita nella spedizione Nobile al Polo col dirigibile Italia. A Milano gli succedette Giovanni Gentile jr (1906 – 1942).

 

 

Un po’ a parte stava la personalità di Ettore Majorana (1906 – 1938).

 

Da Roma il vangelo quantistico portato da Persico si diffuse a Firenze, dove, sotto l’egida di Antonio Garbasso, direttore dell’Istituto, si era formato un gruppo sperimentale di grande valore che fece importanti esperimenti sui raggi cosmici, con Bruno Rossi (1905 – 1993),

 

 

Nota: Il primo laboratorio ad alta quota fu realizzato da Rossi all’Asmara nel 1932 a 2400 metri di elevazione; la latitudine tropicale servì a mostrare un eccesso da Ovest nella direzione di provenienza della radiazione. Interpretando l’effetto come dovuto all’interazione tra la carica elettrica del primario e il campo magnetico terrestre si stabilì che i primari hanno carica positiva, quindi protoni o nuclei.

 

 

Gilberto Bernardini (1906 – 1995), Beppo Occhialini (1907 – 1993) e poi Sergio Debenedetti (1913 – 1994) cui si aggiunse il teorico Giulio Racah (1909 – 1965). Rossi prese la cattedra a Padova nel 1936 ed esercitò un influsso fondamentale: progettò il nuovo istituto (ancora oggi in funzione) e condusse importanti ricerche sui raggi cosmici. Aveva chiamato alla cattedra di fisica teorica Gian Carlo Wick (1919 – 1992)

 

 

Nota: Al secondo concorso di Fisica Teorica, nel ’37, la terna dei vincitori era formata nell’ordine da Gian Carlo Wick, Giulio Racah e G. Gentile jr. Wick andò a Palermo, Racah a Firenze e Gentile a Milano. Majorana era stato precedentemente nominato dal ministero Professore per meriti straordinari ed era a Napoli. Per la biografia di G.C. Wick si veda V. de Alfaro, "Gian Carlo Wick", Acc. Sci. Torino, Atti Sc. Fisiche vol. 127, 1993, pp.139-155; Amaldi, op. cit. pp.128-140.

 

 

che fu ben contento di collaborare alle ricerche del gruppo sperimentale sui raggi cosmici.

 

Ma l’atmosfera ufficiale di estremismo guerraiolo (Etiopia, Spagna) cominciò a danneggiare la fisica italiana. Se ne andarono molti, disgustati dall’atmosfera ufficiale . Wataghin era già partito nel 1934,

 

 

Nota: Allenato dalle vicende della vita, Wataghin sentiva l’odore dei torbidi politici lontano un miglio. Un giorno mi disse: "Sai, sono sfuggito alla rivoluzione russa, al fascismo e alla guerra, e vuoi che mi facciano paura questi studenti?" Era l’inverno del 1968: partì per il Brasile per parecchi mesi.

 

 

Bruno Pontecorvo (1914 – 1994) aveva preso già nella primavera del ’36 una borsa di studio presso il laboratorio di Joliot – Curie. Rasetti era andato alla Columbia University per un anno nell’autunno 1935. Andò poi via definitivamente, all’inizio dell’estate del 1939, in Canada, alla Laval University.

 

Il nucleo fiorentino si dissolse. Occhialini, ritornato dopo un periodo in Germania e una lunga permanenza a Cambridge (nei lavori con P.M.S. Blackett (1897 – 1974) il suo contributo di conoscenze di tecniche sperimentali sui contatori fu essenziale) a Firenze, la trovò sguarnita: di Rossi si è detto, Bernardini era professore di Fisica a Camerino (e passò alla cattedra di Fisica superiore a Bologna dal 1938); sviluppò una intensa collaborazione con Roma. Antonio Garbasso era morto, Persico era andato via da un pezzo. L’insopportabile atmosfera politica indusse Occhialini ad accettare l’invito di Wataghin; nel 1937 si trasferì in Brasile, a San Paolo, dove trovò un ambiente di giovani fisici entusiasti e proseguì le ricerche sui raggi cosmici.

 

Le infami disposizioni razziali, promulgate tra il luglio e il novembre 1938, colpirono in pieno la scienza italiana, Tra i tanti, furono cacciati via dall’Università ed emigrarono Bruno Rossi (a Copenhagen, ottobre 1938) ed Emilio Segrè (1905-1989) (a Berkeley, estate 1938). Partirono, o erano già partiti, Sergio Debenedetti, Giulio Racah, Ugo Fano e parecchi altri. Fermi si era allontanato da Roma approfittando del Premio Nobel nel dicembre 1938 con un permesso di un anno sabbatico ma con l’idea di restarsene fuori, disgustato nonostante i propri privilegi.

 

Edoardo Amaldi (1908 – 1989) si trovò quasi solo ma non perse mai le speranze di poter fare progredire la fisica in Italia (vi riuscì nel dopoguerra con intelligenza, tenacia e iniziativa). Fu un punto di riferimento per quelli che erano rimasti. Consigliato da Fermi, offrì a Wick la cattedra di fisica teorica a Roma nell’autunno del 1940. L’entrata dell’Italia in guerra aggiunse immense difficoltà e l’attività di ricerca fu paralizzata. Il primo apparato della serie di esperimenti che chiarirono le proprietà del muone, costituente della componente penetrante dei raggi cosmici, fu montato da Marcello Conversi (1917 – 1988) e Oreste Piccioni in uno scantinato del liceo Virgilio nella Roma del 1943 – ’44; Ettore Pancini (1915 – 1981), il cui nome è associato a quelli di Conversi e Piccioni nell’esperimento finale, era allora sotto le armi.

 

 

Nota: Per la vita di Pancini si veda Amaldi, op.cit. pp. 388 – 414.

 

 

Molti fisici (tra cui Amaldi) furono richiamati o erano di leva. Anche a Padova Rostagni, direttore dell’istituto dal 1938, cercò di salvare una certa idea della ricerca e un po’ di attività sperimentale (nel 1944-45 l’istituto era ridotto a due o tre persone).

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Capitolo 2. Rinascita 1946 – 1960.

2.1 Il rinnovamento.

Ma la grande stagione del rinnovamento torinese si avvicina. Persico col suo insegnamento aveva mostrato il gusto della fisica ai suoi studenti e ne aveva destato l’interesse con i suoi consigli e le sue informazioni.

 

Romolo Deaglio aveva fondato il reparto di fotometria al Galileo Ferraris nel 1933, organizzando il lavoro con perfezione. Nel fervore del dopoguerra egli favorì il rinnovamento realizzando, sempre al Galileo Ferraris, un "Centro di Studi di elettrofisica" che svolse ricerche di spettroscopia a microonde. Deaglio cercò sempre di avvicinare le ricerche di fisica alle ricerche applicative e farle influire sul progresso tecnologico; in particolare in quel periodo cercò di promuovere un organismo di cooperazione e piú tardi, nel 1969, anche il suo lavoro per istituire il Corso di laurea in Informatica va visto in parte sotto questo profilo. Agiva in lui un profondo senso di responsabilità nei confronti della comunità.

 

 

Nota: Nel 1945 – 46 simpatizzava per il Partito Socialista.

 

 

Pochettino andò in pensione nel novembre 1947, e Deaglio si dedicò all’Istituto fisico con energia e capacità organizzativa per creare un ambiente adatto al sviluppare la ricerca. Rigenerò l’Istituto: vennero sarchiate e riordinate le cataste di roba vecchia, si fece piazza pulita di molta roba inutile; si rifecero gli inventarii. Le cose interessanti furono salvate e riordinate negli armadioni dell’Istituto. Si formarono i servizi, una attivissima falegnameria , officina meccanica, un elettricista, pulizie (si aggiungeranno poi l’officina elettronica e il servizio stampa). Nei primi anni 50 furono reclutati, per mezzo dell’INFN, molti tecnici di valore tra cui gli elettronici Pelli e Armando Ferrero (che poi passarono alla FIAT quando sembrava interessata alle centrali nucleari), Italo Tricomi (responsabile dell’officina elettronica), i tecnici del Sincro Giuliano Micheletta (responsabile tecnico), Alberto Benedetto (meccanica) e Giuliano Pereno (strumentazione e operazione), i tecnici osservatori delle emulsioni Massimo Greco, Giuseppe Algostino, Nicola Borrelli e Piero Trossero e poi i disegnatori meccanici Benedetto Tencone, Giuseppe Perrone e Luigi Valsasna, primi di una lunga serie di elettronici e tecnici; gli amministrativi Marisa Garella e Rita Aimone. Ai servizi generali sopravvedeva Federico Porqueddu, il tecnico di grandissima capacità e competenza che dal Galileo Ferraris si trasferì all’Istituto di Fisica, esempio di quella sagacia con cui Deaglio selezionò giovani laureati e personale per le nuove attività dell’istituto. I danni dei bombardamenti furono riparati, fu ricostruita l’aula magna i cui banchi digradanti furono rifatti in Istituto dal falegname Rubino che costruì anche tutti i mobili da studio, alcuni dei quali tuttora in uso.

 

Il problema piú importante fu la successione alla cattedra di Fisica Sperimentale. Deaglio avrebbe potuto trasferirvisi e diventare il capo indiscusso di tutta la fisica; ma con senso dell’istituzione e lungimiranza preferì cercare un nuovo professore che desse impulso alla fisica moderna. Cosí scelse Gleb Wataghin, (che conosceva dai tempi del Politecnico) che nel novembre 1948 fu chiamato alla cattedra di Fisica Sperimentale.

 

Wataghin (1899-1986) era ben noto all’ambiente torinese dove era giunto profugo nel 1919 e si era laureato nonostante le enormi difficoltà, in fisica nel 1922 e in matematica nel 1924. A lungo professore alla Reale Accademia e Scuola di Applicazione, fu per un certo tempo l’unico fisico a Torino che conoscesse, tra gli anni ’20 e ’30, la nuova fisica quantistica e vi lavorasse (fu lui a consigliare a Gian Carlo Wick il soggetto della tesi e a seguirne la preparazione). Estremamente versatile, capace di lavorare nella teoria come nella fisica sperimentale, all’avvicinarsi della guerra si era trasferito in Brasile dove è oggi considerato uno dei padri fondatori della fisica; aveva all’attivo anche molte campagne di misure di raggi cosmici in luoghi remoti dell’America latina e una immensa, prorompente carica di entusiasmo per la fisica. Wataghin aveva avuto sempre una percezione immediata delle cose importanti nella fisica contemporanea; aveva pubblicato lavori di argomento quantistico già negli anni 1925-26, si era occupato di meccanica quantistica relativistica, di astrofisica, di raggi cosmici, di particelle, di formazione degli elementi, di teoria dei campi. Tornato a Torino in quegli anni parlando un italiano che risentiva dei molti anni passati in Brasile (e dell’origine russa), estremamente affabile, poco accademico, dalla conversazione rapida e affascinante, perfettamente a conoscenza della fisica e dei fisici (eppure, se c’era uno fatto da sé era proprio lui!), appariva ai giovani come un mago piombato da uno strano mondo, un essere bizzarro la cui natura profonda era ignota ma il cui influsso entusiasmava.

 

Nel giro di due anni la terna dirigente dell’istituto si completò con la chiamata di Mario Verde (1920-1983), giovanissimo vincitore del concorso di Fisica Teorica.

 

 

Nota: Gli altri due furono Giampiero Puppi e Antonio Borsellino. Può essere interessante ricordare che questo fu il primo concorso in cui 3 su 5 commissari erano vincitori di concorsi teorici (Ferretti, Caldirola e Dallaporta; gli altri due furono Careri e Wataghin). Cosí avvenne anche nel concorso seguente. Nel concorso di Teorica del 1947 invece ci fu un solo commissario teorico (Persico) e 4 sperimentali. La ragione era che c’erano pochi professori di fisica teorica.

 

 

che prese servizio nel dicembre 1950. Verde era un brillantissimo teorico proveniente dalla Scuola Normale di Pisa e dall’istituto di Roma, con alle spalle un soggiorno in Germania e un lungo periodo di ricerca all’ETH di Zurigo con Pauli e Scherrer. Pauli apprezzava i suoi lavori e lo ebbe in grande considerazione.

 

Da allora cominciò per l’Istituto una stagione di successi che fulmineamente lo portarono al livello dei migliori istituti italiani ed esteri. Intorno alle capacità organizzative di Deaglio, con l’impulso della personalità di Wataghin e la profonda cultura matematica e teorica di Verde si formò negli anni ’50 una generazione di fisici entusiasti che parteciparono alle ricerche di avanguardia, viaggiarono e soggiornarono a lungo all’estero.

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2.2 Aspetti istituzionali.

 

Dal punto di vista formale esistevano negli anni ’50 quattro Istituti: Fisica Sperimentale, Fisica Teorica, Fisica Superiore e Fisica Terrestre e Geodesia. In un senso non ben precisato gli altri Istituti erano ospiti dell’Istituto di Fisica Sperimentale, e i loro possedimenti consistevano in un inventario di pochi beni e soprattutto di libri. Da ogni punto di vista pratico si parlava dell’Istituto di Fisica che nell’uso comune indicava l’edificio di via Giuria – Corso D’Azeglio e il suo contenuto in persone e mezzi. L’afferenza formale non contava gran che: Cini e Gamba, teorici, furono assistenti di Fisica Sperimentale come Carola Garelli. Il primo assistente di Teorica fu Tullio Regge. Nel 1961 l’Istituto di Fisica Terrestre fu inglobato in Fisica Superiore.

 

Nella biblioteca venivano riversati tutti i libri comprati sotto bilanci diversi (Istituti e INFN). Funzionava benissimo, era abbonata a tutte le riviste di qualche importanza e rapidamente si comperarono i libri importanti che uscivano via via. Il bibliotecario Michele Ceriana – Mayneri, appassionato bibliofilo, sarebbe arrivato all’inizio degli anni ’60 a imporre i nuovi metodi di catalogazione; da lui la biblioteca fu organizzata con passione e grande efficienza (si deve a lui tra l’altro il recupero di libri antichi trovati in un sottoscala e in soffitta e la catalogazione dei libri e degli opuscoli e miscellanea di interesse storico).

 

L’ombrello del CNR servì per le prime iniziative di ricerca della comunità dei fisici sul piano nazionale. Già alla fine dell’estate del 1945 a Roma si formò , per iniziativa di Amaldi, un Centro di Studio della Fisica Nucleare e Particelle Elementari del CNR. Fu la struttura nella quale si inquadrò la realizzazione del Laboratorio della Testa Grigia al Plateau Rosa. Nel gennaio del 1947 a Padova fu fondato un analogo Centro Studio degli Ioni Veloci (si stavano munendo di un acceleratore lineare van der Graaf). Il 1 luglio 1951 si formò a Torino il Centro Sperimentale e Teorico di Fisica; a Milano nell’agosto si aggiunse un centro analogo.

 

Diventava evidente la necessità di coordinamento nazionale e per questo fine, a seguito dei lavori di un comitato formato da Eligio Perucca (Presidente del Comitato Fisica del CNR), Edoardo Amaldi e Gilberto Bernardini, venne fondato l’INFN, articolato, con decreto 8 agosto 1951, nelle quattro sezioni di Roma, Torino, Milano e Padova. Una grande strada era stata percorsa da Torino in pochi anni.

 

 

Nota: L’INFN costituisce un esempio di perfetta organizzazione della scienza nazionale. Integrato con l”Università, ha avuto una funzione essenziale nella diffusione delle idee e delle tecniche, nella scelta delle attività e nel coordinare la collaborazione nazionale e internazionale. Per la storia della ricostruzione degli studi in Fisica in Italia e in Europa si consulti E. Amaldi, op. cit.

 

2.3 L’attività al Laboratorio del Plateau Rosa.

 

Nel dopoguerra i campi piú interessanti erano la fisica dei nuclei e la nascente fisica delle particelle. Apparve impossibile portarsi a livello dei Paesi vincitori nel campo della conoscenza dei nuclei. La fisica delle particelle parve invece una strada percorribile con gli scarsi mezzi disponibili: esisteva una notevole tradizione italiana di studio dei raggi cosmici. Per sviluppare queste ricerche fu costruito nel 1947 il laboratorio del Plateau Rosa (Laboratorio della Testa Grigia) a 3500 m.s.l.m.

 

 

Nota: Per una storia della stazione e della fisica che vi si fece, consultare Castagnoli, op. cit.

 

 

Progettato nel 1947 da Gilberto Bernardini ed Ettore Pancini nell’ambito del Centro di Studio della Fisica Nucleare e Particelle Elementari, era gestito dal CNR. Il primo direttore fu Bernardini (dal 1946 al 1949) seguito da Ettore Pancini (1949-1952). Il successivo direttore fu Giuseppe Fidecaro (1953-54). Sergio Ferroni tenne le funzioni dal 1955 al ’58, anno in cui il laboratorio fu chiuso (riprese a funzionare per iniziativa di Castagnoli che lo diresse dal 1965 a tutt’oggi). Nel laboratorio gruppi di Roma, Torino, Milano e Padova montarono apparati per rivelare i raggi cosmici che usavano tecniche di emulsioni, contatori, camere a nebbia e a ionizzazione. I problemi da studiare riguardavano le proprietà dei raggi primari (loro natura ed energia) che i tipi di particelle prodotti e le loro interazioni.

 

Wataghin vi partecipò con un gruppo di entusiasti che si davano i turni: Carola M. Garelli, Marcello Cini, Piero Brovetto, Sergio Ferroni, Filippo Ferrero (1928 – 1996), Giovanni Bertolino e Ugo Farinelli. Martina Panetti, Pompeo Colombino e Giorgio Ghigo curavano l’elettronica.

 

 

Nota: Giorgio Ghigo (1929 – 1968) aveva grandi capacità di elettronica. Pochi anni piú tardi fu carpito dai colleghi romani per la realizzazione del Sincrotrone di Frascati. Una parte notevole del successo nella sua costruzione fu proprio dovuta alle capacità pratiche di Giorgio Ghigo. Morì non ancora quarantenne nel 1968.

 

 

La fisica dell’esperimento torinese riguardava l’intensità e la distribuzione di carica dei primari, lo studio degli sciami atmosferici estesi (EAS)e la produzione multipla, per la quale Wataghin aveva formulato un modelloteorico che gli esperimenti confermarono. I contatori Geiger usati dal gruppo torinese erano costruiti in Istituto da Vaschetti. L’efficienza di costruzione era bassa: se c’era fretta venivano costruiti peggio e parecchi non funzionavano. La pazienza è sempre stata una componente importante della ricerca.

 

Ogni tanto qualcuno nel suo turno faceva modifiche e non sempre si ricordava di comunicarle agli altri, con successive perdite di tempo. Una valvola termoionica veniva usata un po’ per un esperimento torinese e un po’ per una del gruppo romano di Fidecaro.

 

Talvolta i turni si prolungavano per il maltempo; le funivie non andavano per settimane e si doveva aspettare. La sofferenza maggiore era per le sigarette (allora quasi tutti fumavano) mai sufficienti se l’isolamento si prolungava. Si schiodavano le tavole dell’impiantito alla ricerca di cicche. La sola compagnia in quel caso era quella dei Carabinieri, unico altro nucleo di vita nei paraggi. Ma nelle belle giornate arrivavano i turisti che ammiravano i "cosmici". Talvolta, dopo la metà degli anni ’50, arrivava la Televisione e i fisici posavano con gli apparecchi o improvvisavano la scenetta del fisico che va a valle a prendere vettovaglie. Per girare questa scena un fisico torinese si mise il sacco, fece un paio di curve con gli sci in perfetto stile di allora e si ruppe malamente una gamba sotto l’occhio televisivo.

 

L’atmosfera del laboratorio era caratterizzata da un entusiasmo e un impegno senza pari. In quegli anni erano presenti, oltre al gruppo di Torino, diversi gruppi di Roma e un gruppo di Milano. I giovani lavoravano con impegno, intelligenza, dedizione, senza pensare al futuro, a cattedre o carriere che in quei tempi di povertà sembravano precluse — le cattedre esistenti mai avrebbero potuto accomodare tutti quei giovani. Alberto Gigli Berzolari scrisse a questo proposito: Non avevo mai visto — né avrei poi visto in seguito — tanta ricchezza intellettuale e tanta povertà economica in cosí poco spazio.

 

 

Nota: Castagnoli, op.cit. p.102.

 

 

Si lavorava per il gusto, per la libertà, per la sfida intellettuale, perchè, studiare come è fatto il cosmo quando fuori dal laboratorio ci sono 30 gradi sotto zero e la tormenta infuria è un impegno romantico per un fine altissimo, la conoscenza. Bisogna aver vissuto esperienze analoghe per capire questo entusiasmo. Ognuno, compreso Amaldi e Wataghin che erano i soli professori, si assoggettava alla stessa routine per il funzionamento del laboratorio. Era in fondo uno degli aspetti della ricostruzione – i fisici italiani si rimettevano a fare fisica con immenso entusiasmo. Il laboratorio fu un nucleo essenziale per far lavorare insieme fisici di diverse Università e ritengo sia stato un importante esperienza per preparare la formazione dell’INFN.

 

Per l’Expo Universale di Bruxelles del 1958 Wataghin ricevette dal CNR l’incarico di preparare un’esperienza sui raggi cosmici. Colombino e il giovane Gian Bonazzola misero in funzione una versione ridotta dell’esperimento in corso a Plateau Rosa realizzando un sistema di contatori Geiger e di assorbitori di piombo che mostrava in tempo reale l’esistenza di una componente penetrante della radiazione cosmica e contava i muoni. I circuiti elettronici erano miniaturizzati mediante transistor, unica esperienza con questa tecnica nuova in tutto il Palais des Sciences. Fu un grande successo di pubblico e di prestigio per il Paese.

2.4 Emulsioni e palloni.

 

Nell’ansia del rinnovamento Carola Garelli e Renato Malvano (1919-1980) si erano messi a fare ricerche con microonde presso il presso il Centro di Elettrofisica del Galileo Ferraris. Si utilizzava materiale militare di recupero (klystron, guide d’onda etc.) dell’ARAR. Poi, verso il 1948, si liberarono alcuni posti di assistente: Garelli andò all’Istituto, Malvano al Politecnico.

 

Al Poli, da Perucca, Francesca Demichelis (1921 – 1995) era assistente da alcuni anni; nel gennaio 1946 ebbe il posto anche Radicati. Ai due si aggiunse nel 1947 Augusto Gamba (1923-1996), prima come assistente incaricato poi come assistente di ruolo. Furono raggiunti da Sergio Fubini, laureato nell’estate 1950.

 

Wataghin era informato sull’uso delle emulsioni per registrare tracce di particelle ionizzanti; aveva partecipato anche al primo incontro tra fisici europei del dopoguerra, tenuto a Cambridge UK dal 22 al 27 luglio 1946. La tecnica delle emulsioni fu sviluppata a Bristol, dove Cecil Powell (1903 – 1969) organizzava un gruppo di sperimentali, a partire dal 1945. Lavorava con lui Beppo Occhialini, reduce dal Brasile, che portò al laboratorio un grande contributo scientifico.

 

 

Nota: La composizione delle emulsioni era il risultato di una sua fruttuosa collaborazione con la Ilford e la Kodak.

 

 

Nel 1934 H. Yukawa (1907 – 1981) aveva proposto che al campo delle forze nucleari fosse associata una particella di massa intorno a 100 MeV. Si identificò questa particella dapprima nei prodotti della radiazione cosmica. Ma alcune esperienze, tra cui fondamentali quelle svolte da Marcello Conversi, Ettore Pancini e Oreste Piccioni tra il 1943 e il 1946, provarono che la componente penetrante dei raggi cosmici (il muone) non può essere la particella cercata perché interagisce poco con i nuclei. Nei primi mesi del 1947 Cesare Lattes (un allievo di Wataghin a S. Paulo), H. Muirhead, Occhialini e Cecil Powell osservarono nelle emulsioni un mesone (oggi chiamato pione) che decadeva in una particella di massa di poco inferiore (l’attuale muone) confermando la teoria del doppio mesone, come si diceva allora: il pione è la particella di Yukawa che interagisce fortemente con la materia nucleare, mentre il muone interagisce soltanto elettromagneticamente e costituisce la componente penetrante dei raggi cosmici.

 

Erano risultati di grandissima importanza che mostrarono la validità della nuova tecnica. Nel 1950 Powell ebbe il premio Nobel per questi risultati; Occhialini se n’era andato nel ’48 alla Université Libre de Bruxelles e nel 1950 accettò una cattedra a Genova e passò a Milano nel 1952.

 

 

Nota: Occhialini fu essenziale per le ricerche, svolte in tempi diversi, per cui sia P.M.S. Blackett che Powell ebbero il premio Nobel. Fu certo ingiusto che il riconoscimento non andasse anche ad Occhialini (probabilmente per via dei tempi, della guerra recente, della sua modestia e del suo comportamento nobilmente noncurante).

 

 

Su suggerimento di Deaglio e Wataghin, Lovera e Garelli cominciarono ad informarsi delle tecniche di emulsioni per rivelare particelle ionizzanti.

 

Una occasione importante d’incontro per i fisici torinesi fu il Congresso internazionale di Fisica organizzato a Como dall’11 al 16 settembre 1949. Lí vi fu un primo grande incontro dei giovani fisici italiani provenienti dalle diverse sedi. Vi era davvero l’ansia di conoscersi e di confrontare le attività. Fu un’occasione per orientarsi e capire come muoversi. In quell’estate del 1949 Wataghin era tornato in Brasile e del lavoro a Plateau Rosa riferirono Deaglio e Cini. Era presente P.M.S. Blackett (direttore del laboratorio di Manchester) che usava le camere a nebbia (e aveva avuto nel 1948 il premio Nobel per le scoperte fatte con camere controllate da contatori, tecnica sviluppata negli anni ’30 con Occhialini). Era presente anche Powell che si apprestava ad organizzare una collaborazione per mandare nell’alta atmosfera palloni con le emulsioni. Questi lanci potevano risparmiare ai fisici tante settimane di fatica nei laboratori ad alta quota: si poteva infatti inviare un pacco di lastre in pallone ad altissima quota, poi recuperarle ed esaminarle comodamente con un microscopio per trovare tracce di particelle ed eventi interessanti.

 

Il gruppo di Manchester (G.D. Rochester e C.C. Butler) nel 1947 trovò in camere a bolle eventi "a V" in vicinanza di una interazione nucleare, interpretati come decadimenti di un nuovo mesone neutro in due pioni. Altri gruppi trovarono decadimenti di un mesone pesante carico in 3 pioni (eventi tau). Il gruppo di Bristol cominciò a lanciare palloni ad alta quota nel 1950 per studiare questi ed altri problemi. Si accertò che in alcune interazioni vengono create rapidamente coppie di particelle il cui decadimento è lento. Questi risultati fecero lavorare molto gli sperimentali e piú avanti anche i teorici, che proposero varie spiegazioni, tra cui quella poi suffragata dai dati: l’introduzione di un numero quantico conservato nelle interazioni forti ma non in quelle deboli: la "stranezza", oggi spiegata con l’esistenza del quark "strano".

 

Nel 1951 si giunse alla conclusione che esperimenti con raggi cosmici a latitudini piú basse erano piú vantaggiosi perché i raggi captati erano piú energetici. cosí una prima spedizione internazionale in cui erano interessate 13 università europee (tra cui Milano, Padova e Roma) organizzò nel 1952 i lanci dei palloni da Napoli e da Cagliari. Fu la prima collaborazione europea formata sotto l’egida del CERN, organismo di cooperazione appena formato.

 

A Torino si cominciò nell’autunno 1952 a misurare tracce su lastre esposte nell’estate. Il gruppo che si formò vide, oltre a Lovera e a Bertolino, Garelli, Anna Debenedetti e Maria Vigone cui si aggiunse nel 1953 Lucia Tallone. La collaborazione con Occhialini e con Connie Dilworth a Milano aiutò ad apprendere il mestiere. L’esame era lungo, ogni lastra veniva assoggettata ad un primo esame; le tracce interessanti, segnate, venivano poi misurate con microscopi piú potenti. Fu per il gruppo una grande emozione trovare tra le tracce uno dei primi tau. Vi fu collaborazione attiva con il gruppo di Padova formato da Rostagni (Michelangelo Merlin, Milla Baldo Ceolin e Marcello Cresti) e di Genova (Giovannina Tomasini).

 

La partecipazione dei Torinesi alle imprese internazionali fece un salto di importanza quando presero parte diretta alla presa dati nella campagna successiva del 1953, una impresa di dimensioni ancora maggiori con 18 università europee e una australiana.

 

 

Nota: Berna, Bristol, U.L. Bruxelles, Catania, Copenhagen, Dublino, Genova, Göttingen, Imp. College Londra, Lund, Milano, Oslo, Padova, Ecole Polyt. Parigi, Roma, Sydney, Torino, Trondheim, Uppsala.

 

 

I palloni vennero costruiti a Bristol e Padova, la navicella e l’apparecchiatura radio a Milano e Roma. L’organizzazione era diretta da Powell. Nel luglio-agosto 1953 25 palloni venivano lanciati dall’aeroporto di Cagliari. La quantità globale di emulsione aveva un volume di 9.27 litri e un peso di 37 chili. La vita media di un pallone era di parecchie ore – mezza giornata. Un idrovolante dell’Aeronautica Militare cercava di avvistare il pallone caduto e la corvetta Pomona della Marina Militare doveva ripescarlo. L’insieme dei lanci impegnava una ventina tra fisici e tecnici, col supporto tecnico dei militari italiani. Carlo Franzinetti (1923-1980)

 

 

Nota: Franzinetti, del gruppo di Roma, aveva lavorato a Bristol per alcuni anni ed era eccezionalmente esperto sia nella tecnica delle emulsioni che nella fisica delle particelle.

 

 

dirigeva la spedizione, Maria Vigone era addetta alle comunicazioni e, installata all’Aeroporto, dava le istruzioni alla corvetta e all’idrovolante. Si usò una nuova tecnica: gli strati di emulsione erano contigui, senza lastre di vetro che le separassero. Venivano poi sviluppate a Bristol, Padova e Roma e redistribuite ai gruppi per il loro esame. Nell’aprile 1954 si tenne a Padova una Conferenza internazionale per discutere i risultati e organizzare nuove imprese.

 

La ricerca del gruppo torinese riguardava sia i primari (energia, distribuzione di carica, interazioni, formazione di sciami estesi) che le particelle prodotte. In questo modo si studiarono le proprietà dei pioni, degli eventi tau e theta e degli iperoni.

 

 

Nota: Lo studio dei modi tau e theta, di massa uguale ma parità opposta, condusse alla proposta della non conservazione della parità nelle interazioni deboli seguita dalla scoperta dell’effetto (1956-57).

 

 

Una terza spedizione lanciò un pallone da Novi Ligure nell’ottobre 1954. Portava su un’unica massa di emulsione del peso di 63 chili, il G-stack. L’atterraggio terra fu fortunoso: il bidone con l’emulsione, non abbastanza frenato, distrusse un albero.

 

La spedizione del 1955 fu organizzata da Bristol, Padova e Torino che si assunse il ruolo di organizzarla. Tra settembre e ottobre furono lanciati 11 palloni da Mirandola, Cremona e Casale Monferrato. Vigone diresse la campagna di operazioni, aiutata da Tricomi e Micheletta. Gian Carlo Bonazzola tracciava la traiettoria del pallone da Linate con i mezzi forniti dall’Aeronautica militare.

 

Al nucleo originale formato da Garelli, Anna Debenedetti, Maria Vigone e Lucia Tallone.

 

 

Nota: Nel 1957 Tallone andò a Berkeley e poi si stabilì a Milano. Anna Debenedetti si stabilì nel 1959 in Inghilterra. Si aggiunsero Rosanna Cester nel 1956, Ilde Quassiati e Valdo Bisi nel 1957.

 

2.5 Il Laboratorio del Sincrotrone.

 

Un’altra iniziativa della terna dirigente fu la decisione, nel 1951-52, di dotarsi una macchina acceleratrice. Riunendo le forze con Medicina (prof. Bellion) si pensò ad una macchina che soddisfacesse sia la ricerca terapeutica dei medici che la ricerca sulla fisica nucleare in Istituto. C’era l’appoggio totale del prof. Gustavo Colonnetti (1886 – 1968) (detto affettuosamente il Barbone per la folta e lunga barba che lo caratterizzava), professore al Politecnico, presidente del CNR e persona influentissima sul Governo .

 

La macchina scelta fu un sincrotrone per elettroni. L’energia massima fu fissata in 100 MeV (un po’ troppo alta per la terapia). Per la realizzazione del progetto si formò un consorzio cui partecipavano con fondi eguali l’Università, il CNR e la FIAT, per la quale la sezione Costruzioni e Impianti si prese l’incarico dell’ingegneria civile. Il laboratorio si estendeva sotto il 70% del giardino dalla parte di Corso D’Azeglio e la realizzazione del progetto civile era un’impresa notevole; i muri e le solette avevano uno spessore assai insolito di calcestruzzo, le porte di ingresso alla sala avevano uno schermaggio notevole. Il lavoro di ingegneria civile fu svolto nel 1953.

 

La progettazione e la costruzione del Sincrotrone fu affidata alla Brown Boveri di Baden (Svizzera) che aveva come progettista Rolf Wideröe (1902-1997), l’ideatore del betatrone (e maestro di Bruno Touschek) e come realizzatore l’ing. H. Nabholz. Ma già al livello dell’ingegneria civile si capì che l’idea di costruire un laboratorio che realizzasse i due scopi era impraticabile. L’accesso delle ambulanze, i servizi per malati non potevano trovare posto negli ambienti costruiti nel sotterraneo. Si decise pertanto di comprare subito un betatrone da 31 Mev per la terapia, da installare alle Molinette. Queste macchine, di relativa routine, venivano costruite in un certo numero di esemplari dalla Brown Boveri. cosí un betatrone fu installato alle Molinette nel 1954.

 

A portare avanti il progetto furono scelti Filippo Ferrero e Carlo Tribuno, fisici, e Luigi Gonella (ingegnere della macchina) e i tecnici Micheletta, Pereno e Benedetto. Cominciarono a lavorare al progetto ai primi del ’53. Mancava un direttore del gruppetto; cosí fu chiamato Renato Ricamo (1914 – 1994) che stava all’ETH di Zurigo.

 

Ricamo lavorava bene, era esperto di misure nucleari, insegnò radioattività e fisica nucleare sotto l’insegna della Fisica Terrestre; però aveva un piglio militaresco e un modo di mettere in dubbio la validità dei lavori svolti che talvolta mandavano in bestia egualmente Gonella e compagni, gli ingegneri della FIAT e alla fine anche Verde che seguiva le vicende della macchina; per fortuna sua (e sollievo di tutti) fu "ternato" ad un concorso nel 1954 e prese la cattedra a Catania. Da buon fisico fece poi delle belle esperienze al Betatrone delle Molinette con i giovani catanesi.

 

A dare un indirizzo alla fisica della macchina fu allora chiamato Malvano dal Politecnico (1955). Si aggiunse al gruppo anche Bonazzola che organizzò il laboratorio di elettronica dell’INFN. Ma la realizzazione del sincrotrone (che era un prototipo) tardava. Gonella passò un lungo periodo a Baden a lavorare sul progetto con Wideröe.

 

 

Nota: Il progetto finale e il laboratorio sono descritti in: L. Gonella, H. Nabholz e R. Wideröe, "The Turin Synchrotron", Nucl. Instr. and Methods 27 (1964) pp. 141 – 155.}

 

 

Per accontentare i fisici la Brown Boveri mandò un Betatrone da 31 MeV nel marzo ’56, uguale a quello delle Molinette; Gonella e Micheletta fecero la spola con Baden e si dovette riconvertire tutta la circuiteria nel frattempo disposta. Ricordo l’arrivo del Betatrone: le casse giunsero dalla Ferrovia su un carro a 4 ruote trainato da un cavallo. Malvano, colpito dal contrasto umoristico, scattò qualche foto. Ma nel giro di un mese il betatrone funzionò . cosí il gruppo fu indaffarato a fare della fisica. Nel 1958 vi si aggiunse Sergio Costa appena laureato. Purtroppo sia nel Betatrone che nel Sincrotrone gli elettroni non potevano essere estratti; si estraevano solo i gamma prodotti per Bremsstrahlung degli elettroni su di un bersaglio interno alla ciambella, e questo limitò il programma fisico. Ma dal Betatrone uscì una buona fisica: lo studio della risonanza gigante nucleare, per la quale l’energia era proprio adatta.

 

Nel 1955-56 passò un anno sabbatico a Torino A.O. Hanson (della Illinois University), esperto in fisica nucleare sperimentale. La sua presenza fu di grande aiuto al gruppetto.

 

 

Nota: Hanson e famiglia tornarono a New York con l’Andrea Doria che affondò al largo di Nantucket il 26 luglio 1956; si salvarono tutti ma persero i bagagli tra cui le note di lavoro.

 

 

Il sincrotrone giunse molto piú tardi, nel luglio 1959, quando il laboratorio aveva già fatto molti esperimenti interessanti sulla risonanza gigante. Non giunse su un carretto a cavalli ma su un vagone ferroviario. Il sincrotrone permise di sperimentare ad energie di fotoni fino a 100 MeV. Un’altra funzione importante assolta dal laboratorio fu di avviare molti giovani al lavoro con un acceleratore, dalla dosimetria alla circuiteria e all’elettronica. Fu una scuola di fisica moderna.

2.6 Risonanza di spin elettronico; non conservazione della parità.

 

L’attività di spettroscopia a microonde presso il Centro Studi di Elettrofisica in cui si erano impegnati Deaglio, Garelli e Malvano dette origine a ricerche di Piero Brovetto e Sergio Ferroni dal 1951 sulla risonanza di spin elettronico in cristalli paramagnetici. Nel 1952 si unì a queste ricerche Giuliana Cini. L’attività fu piuttosto varia ed interessante: il gruppetto fece misure su diversi materiali. Brovetto e Ferroni interpretarono per la prima volta lo spettro ESR di un radicale organico (trifenilmetile) nel frattempo misurato in USA da ricercatori che disponevano di apparati migliori. Giuliana Cini andò in Inghilterra per un anno per imparare le tecniche sperimentali di laboratori piú attrezzati. Ci si arrangiava insomma in modo da fare un lavoro di ricerca significativo. Quando mancavano i mezzi sperimentali si faceva lavoro teorico. In particolare il gruppo si dedicò all’interpretazione dell’effetto Overhauser (polarizzazione nucleare iperfina) e alla teoria dell’urto di elettroni su nuclei polarizzati. Su questi argomenti era ancora possibile lavorare sia in teoria che sperimentalmente.

 

Nel 1957, alle prime avvisaglie di non conservazione della parità, Brovetto, Ferroni e Massimo Bernardini, aiutati da Sergio Debenedetti, impiantarono all’Istituto Superiore di Sanità di Roma (reparto di Mario Ageno) un esperimento per misurare la polarizzazione circolare della bremsstrahlung prodotta dagli elettroni del Tl 204, cui partecipava Ugo Amaldi, allora ricercatore alla Sanità. Gli studi sulla parità vennero proseguiti a Torino, con l’aiuto di Gian Bonazzola, sempre sul Tl 204 ma utilizzando il doppio scattering di elettroni su foglioline d’oro (a questa seconda fase partecipò il giovane Aldo Pasquarelli). In entrambi gli esperimenti vennero osservati con chiarezza gli effetti di polarizzazione dovuti alla non conservazione della parità.

 

Sergio Debenedetti, professore a Pittsburgh, Pennsylvania, passò un anno sabbatico a Torino nel 1955-56 (evidentemente lavorare per un anno a Torino era allettante) e come si è detto organizzò l’esperimento sulla violazione della parità. Organizzò anche con Colombino un altro esperimento sull’annichilazione del positronio. La presa dati durò parecchi anni e vi presero parte Laura Trossi, Italo Degregori e Benedetto Fiscella. piú tardi Sergio Debenedetti fu interessato ad una cattedra al Politecnico ma purtroppo gli fu preferito Lovera che si trovava a Modena.

 

Alla fine del decennio partì un’altra iniziativa. Il gruppetto aveva bisogno di un generatore da 50 KV per eseguire misure di parità piú accurate determinando la polarizzazione degli elettroni in funzione della velocità. Wataghin riuscì ad ottenere fondi tramite Perucca dal CNR e acquistò un poderoso generatore SAMES da 300 kV, inutile però per quegli esperimenti. Con un tale strumento si cercò di fare altro, e Brovetto e Bonazzola, su consiglio di Facchini

 

 

Nota: Ugo Facchini proveniva da Milano e fu professore a Torino per un solo anno.

 

 

e con la collaborazione del laureando Emilio Chiavassa montarono un generatore di neutroni da 14.2 MeV e realizzarono in casa artigianalmente la sorgente di ioni di deuterio e il sistema di rivelazione a tempo di volo. La fisica relativa vide impegnati i giovani Emilio Chiavassa e Tullio Bressani per i primi anni ’60.

2.7 La fisica teorica.

 

Nella prima parte della carriera Wataghin non ebbe a disposizione laboratori e lavorò essenzialmente in fisica teorica. In Brasile gli fu possibile occuparsi anche di fisica sperimentale, con campagne di raccolta dati sui raggi cosmici in luoghi impervii. Il periodo brasiliano vide la fioritura di ambedue le attività.

 

Due lavori teorici di Wataghin, pubbblicati sul Physical Review nel 1948, furono molto importanti anche per l’attività a Torino. Nel primo Wataghin propose un modello teorico per la produzione multipla dei mesoni, poi suffragato dai dati sperimentali. Il secondo lavoro riguarda la formazione degli elementi chimici all’interno delle stelle, interessante suggerimento (il lavoro è molto breve). Nel 1993, in un discorso a proposito di tutt’altro, Freeman Dyson si esprime cosí a proposito di questo lavoro (Freeman Dyson, "George Green and Physics", Physics World, London August 1993 pp. 33-38.):

 

"Nel volume 73 del Physical Review furono pubblicati molti lavori interessanti. […] Il lavoro di Alpher, Bethe e Gamow proponeva che gli elementi chimici si fossero formati per cattura successiva di neutroni e di protoni durante l’espansione iniziale dell’universo a partire da un inizio caldo e denso. […] Il lavoro di Wataghin, che proponeva che gli elementi si fossero formati nelle stelle di neutroni, […] ricevette un’attenzione molto minore. Wataghin lavorava allora in Brasile e non era cosí noto [negli Stati Uniti]. Ci vollero purtroppo molti annni per radunare i dati che provarono che , almeno per la grande maggioranza degli elementi, Alpher – Bethe – Gamow avevano torto e Wataghin aveva ragione."

 

Negli anni torinesi Wataghin riprese il soggetto in alcuni lavori in collaborazione con Giovanni Bussetti. Ma l’idea su cui si concentrò lo sforzo teorico di Wataghin negli anni del rientro fu la formulazione di una teoria di campo "non locale" tale da eliminare gli infiniti dello sviluppo perturbativo quantistico, per esempio dell’elettrodinamica. Cercò anche conferma di violazioni della formulazione abituale dell’elettrodinamica nell’analisi di sciami contenenti elettroni e fotoni di energia intorno a 100-1000 GeV.

 

Tuttavia la formulazione di una teoria non locale si scontrava con i principi della relatività o dava luogo a troppe arbitrarietà irrisolubili. Vi fu una visita contemporanea di P.A.M. Dirac e di W. Pauli, ambedue invitati da Wataghin nell’istituto rimesso a nuovo come non mai e odorante di cera da pavimenti. I due si scontrarono proprio su queste questioni: Dirac era un sostenitore (poco loquace) dello stato attuale della teoria, Pauli cercava soluzioni alternative (ma non accettava la teoria non locale) mentre Wataghin era interessato alla sua teoria non locale. La situazione era umoristica: Dirac era testardo (meglio dire che non comunicava) e silenzioso, Pauli era violentemente polemico

 

 

Nota: Valentin Telegdi diceva che Pauli era un grande democratico perché prendeva a pesci in faccia tutti, grandi e novellini, mai nessuno escluso. Sergio Fubini aggiunge che Pauli se lo poteva permettere ma che oggi di Pauli non ce ne sono piú.

 

 

e Wataghin cercava di spiegare la sua ricetta non locale.

 

Tra i visitatori alcuni importanti personaggi erano stati invitati da Wataghin perché interessati a formulare di una teoria non locale: tra questi Louis De Broglie, Dmitrii D. Ivanenko, ben noto professore di Fisica teorica all’Università di Mosca, e Hideki Yukawa, premio Nobel giapponese nel 1957. Alcuni ricercatori collaborarono con Wataghin in questo sforzo nella seconda metà degli anni ’50: ricordiamo Pritam Sen (Dehra Dun), Hideji Kita (dell’istituto di Yukawa a Kyoto) ed Ettore Minardi (borsa INFN).

 

In definitiva Wataghin si presentava sulla scena torinese attivo anche nella fisica teorica — non quella cosa, specializzatissima, cui siamo abituati oggi, ma la attività di riflessione e iniziativa sui principii di guida. In verità già allora la fisica teorica era diventata un soggetto per professionisti, e Wataghin con i suoi metodi intuitivi perdeva terreno rispetto ai giovani campisti.

 

Di Verde abbiamo detto. In quegli anni si dedicò a sviluppare questioni di struttura nucleare (l’importanza dell’accoppiamento spin – orbita). Aprì anche nuovi canali di ricerca sul problema dell’inversione dai dati sperimentali alla forma del potenziale, sulle proprietà analitiche dell’ampiezza di diffusione in teoria quantistica e sulle relazioni di dispersione (RD), soggetti di grande modernità e interesse. Verde passò l’anno 1954-55 all’IAS a Princeton e il 1959-60 a Basilea.

 

 

Nota: Il problema inverso aveva grande importanza anche per altre discipline, per esempio nel ricostruire l’emissione della sorgente captando un segnale subacqueo. Per le RD si veda piú avanti.

 

 

Augusto Gamba era, come si è detto, al Politecnico con Demichelis, Radicati, (anch’egli fisico teorico), Renato Malvano e Sergio Fubini. La situazione al Poli non era allegra. Già allora gli impegni di routine (di assistenza all’insegnamento o di servizio in biblioteca) erano pesanti, lunghi e insoddisfacenti. Bisognava obbedire senza discutere; il direttore Perucca, nel suo sicuro orgoglio, teneva ben a distanza i giovani assistenti. L’ambiente deprimeva la ricerca moderna. Ciò nonostante Gamba fece alcuni bellissimi lavori applicando la teoria dei gruppi alla fisica nucleare, prima da solo e poi con Radicati e Malvano (che era uno sperimentale, ma allora i confini tra le discipline erano valicabili). L’attrazione dell’Istituto di via Giuria era immensa: verso il 1950 un luogo in cui i Professori si interessavano a promuovere la ricerca, trattavano correttamente, erano disposti a discutere e accettare le critiche e davano del tu, un luogo in cui per far carriera contava la ricerca, sembrava il Paradiso.

 

Ma a Fisica i posti di assistente erano scarsi: all’Istituto c’erano nel 1950 quattro posti occupati (Bertolino, Colombino, Garelli, Lovera). Marcello Cini ebbe un incarico di fisichetta nell’autunno 1949 e il posto di assistente di ruolo alla fine del 1951. Verde teneva molto a Gamba e lo aiutò a spostarsi dal Poli dall’autunno 1951, superando l’opposizione di Perucca. All’Istituto Gamba lavorò ad argomenti importanti in fisica nucleare, teoria dei gruppi applicata a nuclei e particelle, meccanica statistica, logica e teoria dell’informazione. Nel 1953-54 fu al gruppo teorico del CERN a Copenhagen. Nel settembre del 1956, in occasione dell Congresso della SIF e internazionale, si fondò la Associazione Sindacale Ricercatori di Fisica e Gamba ne fu eletto presidente. Nel marzo 1957 accettò un’offerta vantaggiosa di ricerca alla Philco a Filadelfia e lasciò l’Istituto dando le dimissioni da assistente.

 

Nell’autunno 1951 Radicati aveva lasciato il Politecnico con una borsa per Birmingham, presso il gruppo di Rudolf Peierls.

 

 

Nota: Radicati tornò in Italia nel marzo del 1954, avendo vinto nell’autunno precedente il concorso di Fisica teorica. I vincitori furono Radicati, Salvetti e Paolo Budinich. Ricoprì la cattedra di fisica teorica a Napoli; passò poi a Pisa nel dicembre 1955 e alla Scuola Normale nel febbraio 1962.

 

 

Cini andò a Cambridge per un lungo periodo tra il 1951 e il 1952. Fubini preferì rinunciare al posto di assistente al Poli quando gli fu offerto un incarico di fisichetta all’Istituto (autunno 1952).

 

 

Nota: Ogni incarico era affidato annualmente e non costituiva alcun impegno per la facoltà. Il posto di assistente di ruolo era un po’ meglio: doveva conseguire la Libera Docenza entro 10 anni per essere stabile; in caso contrario alla persona sarebbe stata assegnata una cattedra in un Liceo. Esso rendeva, nel 1950, circa 20 – 25 chilolire al mese. Che almeno il lavoro si svolgesse in un ambiente piacevole e impegnativo! L’unico posto sicuro era quello di professore.

 

 

I due campi di interesse principali in quel periodo erano la fisica nucleare, di cui si occupavano Verde e Gamba, e la teoria delle particelle. Cini e Fubini si dedicarono principalmente a quest’ultima nei suoi due aspetti, la teoria dei campi e la fenomenologia dell’interazione pione – nucleone.

 

I primi anni ’50 videro la sistemazione dell’elettrodinamica quantistica, principalmente per i contributi di Julian Schwinger, Richard Feynman, Sin-itiro Tomonaga, Freeman Dyson, Gian Carlo Wick. Vi contribuirono in modo pionieristico, all’inizio del 1950, Cini e Radicati, lavorando insieme a chiarire la relazione tra il metodo di Feynman e l’approccio di Schwinger, primi lavori italiani, e lavori importanti, sulla nuova elettrodinamica.

 

La teoria di campo delle interazioni forti era invece in alto mare. Appariva impossibile sviluppare una teoria di campo dell’interazione forte perché la costante d’accoppiamento pione – nucleone, della teoria gamma5 su cui erano riposte le speranze, era grande e lo sviluppo perturbativo perdeva senso. cosí l’interesse verso la teoria dei campi applicata a rappresentare le interazioni pione – nucleone diminuì.

 

Al ritorno da Cambridge, Cini insieme a Fubini si dedicò alla fisica delle interazioni pione – nucleone e ai metodi per studiarla. Fu, da parte di Cini e di Fubini, un fiorire di lavori di notevole interesse ed originalità su questi temi, in comune o separatamente. Riguardavano metodi di approssimazione (Tamm – Dancoff, intermediate coupling), metodi variazionali, potenziali tra nucleoni, sviluppo del modello statico nella fisica del pione – nucleone. Erano lavori importanti nel filone centrale delle ricerche internazionali. Un lavoro di Cini ebbe un particolare successo: riguardava la formulazione covariante dell’equazione del moto in teoria quantistica dei campi. Tutti questi lavori erano ben conosciuti e apprezzati sia in Italia che all’estero. La loro collaborazione era famosa e la loro scuola in espansione. Cini vinse la cattedra

 

 

Nota: Gli altri vincitori furono Eduardo Caianiello e Fausto Fumi.

 

 

e andò a Catania nel febbraio 1956, da dove passò a Roma nell’autunno 1957. Fubini passò lunghi periodi in USA a Stanford e poi dall’autunno 1956 fu a Chicago. Fubini, Y. Nambu e Vladimir Wataghin a Chicago studiarono l’elettroproduzione di pioni con un lavoro allora classico . L’anno dopo Fubini passò al CERN e nell’autunno del 1959 ebbe la cattedra a Padova (gli altri vincitori del concorso furono R. Gatto e B. Zumino).

 

Nella seconda metà degli anni ’50 si sviluppò la tecnica delle relazioni di dispersione (RD) per rappresentare l’urto tra particelle. Alla base della loro validità stavano certe proprietà di analiticità delle ampiezze d’urto quantistico, alcune provate, altre congetturate. è interessante osservare che Cini aveva ricavato le RD, senza saperne niente, quando ancora lavorava nell’industria

 

 

Nota: Cini aveva lavorato da ingegnere alla RIV dalla fine del 1946 alla fine del 1949, quando ebbe un incarico di fisichetta. Era laureato in ingegneria dal marzo 1946 e si laureò in fisica nel novembre 1947.

 

 

(i lavori sulle RD, della seconda metà degli anni ’20, erano due o tre ed erano quasi del tutto ignoti). Occupandosi di mezzi elastici Cini aveva dimostrato che dalla condizione di causalità (nessuna risposta esce da un sistema prima che arrivi un segnale in entrata) seguivano certe relazioni tra parte reale e immaginaria della funzione di risposta lineare (in funzione della frequenza), un lavoro da pioniere pubblicato sul Journal of Applied Physics nel 1950. Questo metodo si diffuse rapidamente alla metà degli anni ’50. Cini e Fubini lo usarono subito per formulare la fisica pione – nucleone fino alla risonanza 33 (Delta). Fu molto importante il procedimento di estrapolazione che fornì il valore della costante di accoppiamento pione – nucleone. Nel prossimo capitolo vedremo gli sviluppi delle RD per lo studio delle interazioni forti.

 

Tullio Regge si laureò nel 1952 su questioni di fisica nucleare con Verde di cui divenne assistente. Nel 1954 andò a prendere il PhD presso Marshak a Rochester, N.Y. Lí lavorò a rappresentazioni di particelle di spin elevato e sviluppò un lavoro di relatività generale sulla stabilità della metrica di Schwarzschild che fu molto apprezzato da John Wheeler (i due divennero amici). Le sue capacità di intuizione matematica e geometrica erano eccezionali. Al ritorno (1956) sviluppò molti argomenti con grande successo. Trovò un largo insieme di operazioni di simmetria dei coefficienti di Clebsch e di Racah. Si dedicò alle proprietà di analiticità delle ampiezze nel quadro della teoria dell’urto in meccanica quantistica; in questo ambito sviluppò una trattazione di grandissima originalità e importanza, estendendo il momento angolare al campo complesso per una classe molto ampia di potenziali centrali. L’applicazione della teoria del momento angolare complesso alla fisica delle particelle ebbe un immenso successo, come vedremo piú avanti.

 

Bernardino Bosco e V. Wataghin si laurearono l’anno dopo. Ebbero una borsa e un posto di assistente straordinario, V. Wataghin ando` poi a Chicago. Vittorio de Alfaro, laureato nel 1955, per quasi 2 anni ebbe una borsa dell’ENI (uno scialo: 60 chilolire al mese) all’Istituto di Fisica tecnica del Politecnico per realizzare un apparato con cui studiare il passaggio di idrocarburi e altri fluidi (acqua, aria) in rocce. Passò all’Istituto nel 1957 con una borsa di 25 chilolire al mese; ma era l’ambiente desiderato. Bosco e de Alfaro nel 1958 usarono le RD per ottenere una prima valutazione delle proprietà elettromagnetiche del protone e del neutrone (mancava purtroppo la conoscenza della risonanza pione – pione, ro, che domina il fattore di forma isovettore). Dalle RD ottennero anche la stima della estensione delle distribuzioni di carica e di momento magnetico dei nucleoni. Questi lavori erano di particolare interesse perché proprio in quel periodo Robert Hofstadter stava misurando questi parametri con l’acceleratore lineare di Stanford. Essi toccavano il problema dell’estensione spaziale di un sistema quantistico e indussero de Alfaro e Rossetti ad occuparsi di soglie anomale (vedere il capitolo successivo).

 

Alla fine del 1958 si erano laureati Enrico Predazzi e Cesare Rossetti; la situazione era cambiata: l’era dell’arrangiarsi era finita, in quell’anno tutti ebbero una borsa INFN e quindi un posto di ricercatore. Alessandro Bottino, Alfredo Molinari e Giuseppe Barucchi si aggiunsero tra il 1959 e il 1960. Nel 1961 la riforma dell’insegnamento della fisica avrebbe poi aperto parecchi incarichi di insegnamento.

2.8 Visitatori.

 

Nel giro di pochissimi anni l’Istituto si animò anche con le visite di colleghi, italiani e stranieri, quasi tutti famosi (o lo sarebbero diventati).

 

Dirac venne piú volte. Alla fine dell’inverno 1949, invitato da Wataghin, la sua prima visita fece grande impressione. Molti ricordano il suo seminario nell’Aula magna: nessuno ne capì niente. Si trattava della teoria canonica dei sistemi vincolati (tra cui l’elettrodinamica), un soggetto la cui importanza fondamentale per l’elettrodinamica e le teorie di gauge fu compresa molti anni piú tardi. Wataghin lo condusse a visitare il laboratorio di Plateau Rosa insieme a Cini e Radicati; si interessò cortesemente alla fisica dei raggi cosmici e molto a quella dell’ambiente alpino, ma senza emettere alcun giudizio. Fece anche lunghe passeggiate accompagnato da giovani teorici che speravano di ottenere preziose indicazioni sui problemi da studiare ma furono delusi dal suo mutismo. Anche Pauli e Heisenberg visitarono Torino piú volte.

 

Dirac partecipò al Congresso Internazionale di Torino del settembre 1956 insieme ad altri nomi famosi, Pauli e Heisenberg e tanti altri. Di Yukawa abbiamo detto; la sua figura, e l’aspetto della Signora in kimono spilloni e zoccoletti fecero impressione. Ma molti altri personaggi visitarono Torino: Bruno Rossi, Walther Thirring (Vienna), Res Jost (ETH), Cecil Powell, Marcus Fierz (Basilea), Leopold Infeld (Varsavia), Maurice Levy (Parigi), J.P. Vigier (Institute Hennri Poincaré), Fritz Houtermans (Berna),

 

 

Nota: Per notizie sulla vita di Houtermans vedere Amaldi, op. cit. pp. 592-696; I.B. Khriplovich, "The Eventful Life of Fritz Houtermans", Physics Today, July 1992 pp.29-37.

 

 

Murray Gell-Mann, T.D. Lee, Victor Weisskopf (MIT), Leonard Schiff (Stanford) e tanti altri: americani e francesi e inglesi e tedeschi e cosí via. E naturalmente il nostro istituto, grazie alle conoscenze e all’origine di Gleb Wataghin, fu il primo a stabilire collegamenti con la fisica dell’Est europeo ai primi segni di disgelo, dopo il ’55: Dmitrii D. Ivanenko, Nicolai N. Bogolubov, Isaak M. Khalatnikov, Dmitrii I. Blokhinzev, Artem I. Alikhanian e tanti altri.

 

Parecchi fisici di altri istituti parteciparono alle attività di ricerca e seguirono le lezioni della Scuola. Oltre a Hanson e Debenedetti, ricordiamo Elly Silva al Sincrotrone e Neusa Marghem al gruppo camere a bolle, i primi di molti brasiliani.

 

Molti giovani italiani stettero a Torino per periodi di mesi o anni. Ricordiamo Eduardo Caianiello (1921 – 1993), teorico di grande capacità

 

 

Nota: Caianiello ebbe la cattedra di Fisica teorica a Napoli nel 1958. Per la sua biografia vedere "Structures, Festschrift in honour of E. Caianiello", M. Marinaro and E. Scarpetta Eds. World Scientific, Singapore 1992.

 

 

che era stato presentato da Robert Marshak. Roberto Stroffolini (1926-1997) da Padova passò due anni a Torino (1956-58) prima di accettare un`offerta di Caianiello a Napoli. I teorici Luciano Bertocchi (da Bologna) e Mario Tonin (da Padova) passarono un anno a Torino, e cosí anche Grzegorz Bialkowski (1932 – 1990) da Varsavia,

 

 

Nota: Bialkowski divenne poi un personaggio di primaria importanza nel rinnovamento della cultura e della politica polacca. Accademico, noto scrittore e poeta, rettore dell Università di Varsavia, col rinnovamento polacco era appena stato eletto Presidente del Senato nel 1990 quando morì. Era stato mio ospite molte volte e fu sempre molto legato a Torino.

 

 

Malcolm MacMillan da Vancouver e Günther Dosch da Heidelberg. Ma anche i torinesi viaggiavano per l’Europa: Vladimir Wataghin accettò un posto a Bologna; de Alfaro passò un anno a Roma, Predazzi un periodo a Vienna. Regge fu a Monaco nel 1958-59. Negli anni ’60 poi viaggiare diventò piú frequente. Ogni teorico ha passato varii anni all’estero.

 

 

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 Capitolo 3. Sviluppo: 1960 – 1980.

3.1 Introduzione.

Negli anni ’60 le collaborazioni teoriche e le imprese sperimentali si allargano. Il personale degli istituti si accresce. Se alla fine della guerra l’Istituto raggruppava 6-7 persone tra cattedre e assistenti, all’inizio degli anni ’60 si arriva a una quarantina di ricercatori, cui si aggiungono sezioni tecniche: officina meccanica ed elettronica, ufficio di progettazione delle apparecchiature e ogni tipo di servizi necessari ad un laboratorio moderno. Nel ’61 si sopraeleva di un piano l’istituto del 1898, pur rispettandone le linee.

 

Dalla metà degli anni ’50 in poi la ricerca torinese in fisica è totalmente integrata nel quadro internazionale, sia teorico che sperimentale. Per gli sperimentali si tratta di collaborazioni ad esperimenti internazionali; per i teorici, di collaborazioni con persone di diverse sedi. In tutti questi casi la fisica torinese è una componente importante della fisica mondiale, grazie al lavoro svolto in pochi anni. Ciò è tra l’altro testimoniato dal numero di visitatori e di studiosi, giovani all’inizio della carriera e scienziati affermati, che passarono lunghi periodi o parecchi periodi presso l’Istituto, divenuto uno dei centri importanti della fisica mondiale. Per ragioni di spazio non possiamo tentare di compilarne un elenco.

 

Già dai primi anni ’60 non si perse occasione per rinforzare la ricerca con nuove cattedre. Se per esempio la presenza di due cattedre di fisica teorica è un’eccezione nelle università italiane all’inizio di quegli anni, a Torino nel ’62 se ne contano già tre (Fubini tornò da Padova nell’autunno 1961 e Regge ebbe la cattedra di Relatività un anno dopo) mentre parecchi fisici teorici torinesi in quegli anni occuparono cattedre in altre parti d’Italia (Bari, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Padova, Palermo, Pisa, Roma); e lo stesso vale per i fisici sperimentali.

 

Nel 1961 fu chiamato da Parma Carlo Castagnoli, ben noto scienziato, con grande esperienza della fisica delle particelle e delle tecniche di rivelazione, che aveva trovato nel 1954 il primo evento di annichilazione di un antiprotone nelle emulsioni esposte sui palloni.

 

 

Nota: Il gruppo romano era composto da Amaldi, Castagnoli, Giulio Cortini, Franzinetti, Augusta Manfredini. Poco dopo entrò in funzione a Berkeley il Bevatrone, la cui energia era stata proprio progettata per produrre antiprotoni. Il gruppo romano espose al fascio della macchina un pacco di emulsioni che provarono la produzione di antiprotoni documentandone la disintegrazione.

 

 

Nel 1966 l’Istituto di Torino si arricchì ancora chiamando alla cattedra di Fisica delle Particelle Carlo Franzinetti, altro scienziato di grande prestigio, molto noto negli ambienti internazionali, che divideva il suo tempo tra Pisa, dove aveva la cattedra e il CERN, dope era stato per parecchi anni.

 

Da questo punto in poi termina il periodo eroico della costruzione della nuova fisica torinese. Seguiremo adesso brevemente le linee dell’attività e gli sviluppi di uno dei maggiori centri europei di fisica fondamentale.

 

Coloro che presero parte all’attività che descriviamo sono professionisti della ricerca, perfettamente inseriti nel contesto internazionale. Ciascuno o ciascuna ha partecipato alla vita di ricerca nei modi consueti a questo livello, organizzando conferenze e convegni internazionali, facendo parte di comitati scientifici, relatori a conferenze, tenendo corsi a scuole avanzate, lavorando nei comitati editoriali di riviste specializzate; molti hanno anche ricoperto incarichi a livello nazionale o internazionale nella organizzazione della ricerca e nelle società scientifiche. Non possiano soffermarci su queste attività in questa sede in cui privilegiamo i fatti relativi alla ricerca. Essa infatti determina il livello scientifico della comunità e ha effetti diretti sulla preparazione e sull’inserimento degli studenti, quindi in definitiva sul progresso della società civile. Gli innumerevoli studenti laureati in questi anni hanno beneficiato di questo clima nei campi piú varii, portando poi nella società la loro esperienza di ricerca avanzata e di vita universitaria impegnata.

 

Diciamo due parole su aspetti istituzionali e sulla questione edilizia.

 

Negli anni ’60, dopo l’arrivo di Castagnoli, si giunse ad una differenziazione tra gli Istituti la cui identità prima non era percepibile, e ad una inevitabile separazione tra i gruppi afferenti ad istituzioni diverse. Wataghin resse (fino al suo ritiro nel 1970 ) l’istituto di Fisica Generale (nuovo nome dell’istituto di Fisica sperimentale dal 1961) cui afferiva la cattedra di Castagnoli e poi quelle di G. Cini e Piragino (1973), Picchi e Bologna (1976) mentre Deaglio resse (fino al 1971) quello di Fisica superiore cui afferirono le cattedre di Franzinetti (1966), Garelli (1967), Ferrero (1975), Rinaudo (1976), Bonazzola e Costa (1976), Chiavassa e Longhetto (1980). Afferirono naturalmente all’istituto di Fisica teorica le cattedre di Fubini (1961), Regge (1962), de Alfaro (1969), Rossetti (1973), Predazzi (1976), Molinari (1979), Bottino (1980). L’istituto di Fisica generale fu diretto poi da Castagnoli fino al 1980 e di nuovo dal 1987 al 1995, mentre Piragino lo diresse dal 1981 al 1986. Divenne Dipartimento di Fisica generale nel 1996, direttore Piragino. Dopo Deaglio, l’istituto di Fisica superiore fu diretto da Garelli (1971-74), F. Ferrero (1974-77), Bonazzola, (1977-83), Costa (1983-87). Diventato Dipartimento di Fisica Sperimentale fu diretto da F. Ferrero (1987-93) e da Rinaudo (1993-99). L’istituto di Fisica teorica fu diretto da Verde fino al 1972, de Alfaro (1972-78), Regge (1979-82), Predazzi (1983 – 85). Divenuto Dipartimento fu ancora diretto da Predazzi (1985 – 91) e da Rossetti (1991 – 97).

 

Passiamo alla sistemazione edilizia. Alla fine degli anni 60 fu chiaro che il vecchio Istituto del 1898, benché sopraelevato di un piano nel 1961, era troppo stretto: studenti, docenti ed attività si erano moltiplicate. La facoltà cercò varie soluzioni, ma l’unica che sembrò possibile fu la sostituzione del vecchio Istituto con un quadrilatero di nuova costruzione. Si decise di cominciare la costruzione con il corpo verso via Giuria e nel 1968 fu smantellata l’ala sud-ovest e aperto lo scavo. I servizi stampa e quasi tutti i teorici vennero sistemati malamente in 3 baracche in legno costruite dal lato del Corso (sul centro di calcolo furono montate due aule prefabbricate) per un anno o due, si disse, ma i lavori, cominciati nel 1969, si fermarono l’anno dopo.

 

La contestazione studentesca aveva innescato una serie di rivendicazioni sindacali nell’università che bloccarono ogni iniziativa. La situazione generale divenne difficile da gestire. L’amministrazione centrale dell’Università (nelle persone del Rettore Mario Allara e del Direttore Amministrativo Ivo Mattucci), posta sotto inchiesta, era paralizzata. La fisica, che forse piú di altre discipline era protesa verso grandi programmi, ne soffrì molto. Tra l’altro il centro calcolo venne praticamente paralizzato dalla contestazione dei giovani assunti con contratti a termine.

 

Cosí la costruzione del nuovo edificio si fermò dopo lo scavo. Per via del peso dell’istituto del 1898 sull’orlo della voragine (profonda una ventina di metri) si notarono cedimenti nella sua struttura (tuttora visibili) e si dovette armare e puntellare lo scavo. Si rimase per qualche anno in questa situazione. Il solo affitto della gru costava decine di milioni all’anno. Le necessità degli utenti dell’Istituto erano trascurate. Poi la nuova amministrazione (Rettore Sasso) riavviò i lavori.

 

I futuri utenti erano nell’impossibilità di farsi sentire e controllare i lavori. Nel 1973 intervenne la crisi energetica, che palesò gli errori delle soluzioni costruttive del nuovo istituto; le osservazioni dei direttori, che rilevavano la progettazione insoddisfacente, furono ignorate nella crisi generale dell’università e nel frattempo, con la conflittualità della componente tecnica, i tecnici piú anziani si vollero ritirare in pensione e si restò senza tecnici in grado di controllare le azioni dell’ufficio tecnico e dell’impresa e senza i poteri necessari per farlo. La progettazione e la costruzione non tennero conto dei consigli e delle mutate esigenze.

 

Nel 1974 i teorici furono sistemati nell’ala di Igiene resa disponibile per la Fisica. abbandonando finalmente, dopo 5 anni di tribolazioni, le baracche marcite.

 

Il corpo nuovo verso via Giuria fu disponibile nel dicembre 1986

3.2 Sviluppi concettuali e Fisica teorica torinese.

 

Nella seconda metà degli anni ’50 la teoria dei campi, come abbiamo detto, appariva incapace di descrivere le interazioni forti tra nucleoni per mezzo del campo pionico. Inoltre a partire da quel periodo si trovarono adroni

 

 

Nota: Le particelle dotate di interazione forte.

 

 

semi stabili e risonanze che testimoniavano la complessità dell’interazione forte, a differenza dell’elettrodinamica.

 

In assenza di uno schema di interazione valido, per alcuni anni la teoria dei campi fu messa da parte. Le interazioni forti tra adroni vennero trattate usando proprietà generali delle ampiezze d’urto, quali le proprietà di unitarietà, analiticità e crossing ("teoria della matrice S") il cui primo passo furono le RD, come abbiamo detto. Si arrivò anche a teorizzare l’idea che i soli principii generali menzionati spiegassero, in uno schema di autocompatibilità (bootstrap), tutto l’edificio delle particelle e risonanze adroniche che gli esperimenti andavano rivelando.

 

Le RD portarono due tipi di sviluppi (per la verità le due schiere di teorici interessati non erano sempre distinte).

 

Da una parte vi furono sviluppi fenomenologici; la tecnica delle RD permetteva connessioni tra parametri fisici e favoriva la creazione di schemi di approssimazione portando a risultati di cui diremo.

 

Dall’altra parte fiorì tutta una serie di studi che tendeva a dimostrare l’esistenza di RD partendo da principi fondamentali di causalità e da proprietà generali di analiticità delle ampiezze d’urto. Le ricerche sulle proprietà analitiche delle ampiezze si svilupparono sia nel quadro della meccanica quantistica non relativistica che analizzando le proprietà di specifici diagrammi di Feynman o infine tentando di dedurle dalla teoria relativistica dei campi. Un passo importante fu la congettura della validità di una doppia rappresentazione spettrale (rappresentazione di Mandelstam, RM) che tenne occupati per alcuni anni gli esploratori di proprietà di analiticità (nella teoria quantistica dei campi la RM non fu mai provata). Regge, con la teoria del momento angolare complesso, stabilì il comportamento delle ampiezze per grandi valori del momento trasferito nel quadro della meccanica quantistica non relativistica, elemento mancante per provare la RM in quell’ambito.

 

Nei primi anni ’60 il gruppo di Torino contribuì potentemente alle ricerche sulle proprietà di analiticità delle ampiezze quantistiche attaccando il problema con tutti i metodi a disposizine. Bottino, Anna Longoni e Regge trattarono in modo completo la teoria del momento angolare complesso e altri aspetti della teoria dell’urto in meccanica quantistica. de Alfaro e Rossetti chiarirono la relazione tra la RM, le soglie anomale in teoria delle perturbazioni e gli stati legati nucleari. Di proprietà di analiticità si occuparono anche de Alfaro, Predazzi e Rossetti, studiando inoltre modelli per rappresentare il comportamento asintotico delle ampiezze a grande energia ed angolo fisso e generalizzazioni della RM. Bottino e Renato Ascoli

 

 

Nota: Ascoli era assistente di Fisica sperimentale; cominciò ad occuparsi di radiazione Cerenkov e quindi passò a problemi formali di teoria dei campi. Ebbe la cattedra a Palermo nel 1964.

 

 

studiarono le proprietà analitiche delle ampiezze a piú gambe. Nel 1964 a Princeton de Alfaro e Regge svilupparono un algoritmo di sistemi di equazioni differenziali a derivate parziali per studiare le proprietà delle ampiezze in teoria perturbativa. Poi Giuseppe Barucchi, Giorgio Ponzano e Regge utilizzarono a quel fine potenti metodi di topologia algebrica. Ma i risultati ebbero solo valore indicativo perché non si trovarono proprietà generali e lo sviluppo perturbativo limitava il valore delle conclusioni.

 

Passiamo all’uso fenomenologico della RM. Cini e Fubini formularono la "approssimazione a strisce" (1959 – 60), uno schema per trattare le interazioni dei pioni e dei nucleoni nel quadro di una autoconsistenza della fisica delle basse energie. Dette luogo a molta attività di ricerca (Daniele Amati, Antonio Stanghellini (1931 – 1964), Elliot Leader, Bruno Vitale etc). Mancava però la conoscenza dei comportamenti delle ampiezze d’urto del pione in soglia, derivati poi dall’algebra delle correnti, ed era impossibile sapere che i fenomeni di alta e bassa energia sono connessi, come mostrarono i lavori degli anni successivi. Senza queste nozioni lo schema era incompleto.

 

Dalla approssimazione a strisce nacque il modello multiperiferico (Fubini, Amati, Luciano Bertocchi, Antonio Stanghellini, Mario Tonin),

 

 

Nota: Bertocchi e Tonin furono ospiti dell’Istituto di Torino nel 1961 – 62.

 

 

di grande importanza sia nella fenomenologia che nella teoria. Si trattava di sommare insieme tutti i diagrammi a scala in teoria perturbativa; si ottenne anche il comportamento alla Regge del modello. Fu sviluppato tra il 1960 e il 1962.

 

Vediamo ora il successo della teoria di Regge del momento angolare complesso. Ci volle un po’ di tempo perché i fisici delle particelle ne assimilassero le implicazioni. La teoria fu oggetto di immenso interesse e popolarità a partire dal 1961, quando i risultati furono reinterpretati da Geoffrey F. Chew sulla base del crossing, principio considerato valido nelle teorie relativistiche, in modo da fornire il comportamento delle ampiezze d’urto a grande energia e momento trasferito costante, cioé in regione cinematicamente permessa. Il risultato inoltre stabiliva, mediante le "traiettorie di Regge", una relazione tra il comportamento ad alta energia e le masse e momenti angolari di risonanze e particelle: prima relazione tra fisica di bassa energia (particelle e risonanze) e alta energia (andamento asintotico delle ampiezze).

 

Il nome di Regge diventò popolare anche tra i fenomenologi e gli sperimentali ("poli, famiglie, traiettorie di Regge"), e tuttora gli sviluppi della teoria vengono usati in parecchi articoli sperimentali e teorici. Inoltre, conseguenze di quegli sviluppi furono la superconvergenza, la dualità tra alte e basse energie, il modello di Veneziano e quindi, indirettamente, i modelli duali e le stringhe.

 

Regge, ovviamente soddisfatto, non si curò di applicare la sua teoria, cui del resto lavoravano schiere di teorici e sperimentali. Sviluppò invece un’altra idea, la discretizzazione della Relatività generale, quel "Regge Calculus" che dette origine ad un’intera branca della Relatività generale che ancora oggi si sviluppa e tra l’altro è stato usato come una delle vie per quantizzare la gravità. Nel novembre 1962 ebbe la cattedra di Relatività a Torino. Fu all’Università di Princeton nel 1961-62 e nel 1964 all’IAS. Nel 1964 de Alfaro (all’IAS 1963-64) e Regge scrissero un libro sulla teoria dell’urto quantistico che è rimasto un classico (scritto in inglese, fu tradotto in russo e in giapponese). Regge ebbe il premio Heinemann della APS nel 1964.

 

 

Nota: Torino è la città che ha dato origine a piú premi Heinemann: oltre a Regge, Gian Carlo Wick nel 1967 e Fubini nel 1968.}.

 

 

Nel 1965 accettò il posto di professore all’IAS dove restò fino al 1977. In questo periodo fece molte cose di grande importanza: la teoria di potenziali singolari a piccole distanze (con Predazzi), la formulazione delle teorie con vincoli (il soggetto del lontano seminario di Dirac nel 1949) con risultati chiarificatori in Relatività generale (con Claudio Teitelboim), vortici nell’elio liquido, soluzione del modello di Ising sul gruppo modulare e sul gruppo finito icosaedrico (con Mario Rasetti), definendo le funzioni armoniche del gruppo (formalismo usato per sviluppare la trattazione matematica della molecola di fullerene). Analizzò con Giorgio Ponzano il comportamento asintotico dei coefficienti di Racah usando il metodo per quantizzare una geometria. Con Molinari trattò lo spettro di eccitazione di He4 liquido in analogia agli spettri rotazionali dei nuclei deformati. Regge ebbe nel 1979 il premio Einstein della Lewis – Strauss Foundation.

 

 

Nota: Dal 1989 al 1994 Regge fu membro del Parlamento europeo. Nel 1995 passò al Politecnico di Torino. Nel 1996 gli fu assegnata la Dirac Medal dell’ICTP.

 

 

Nei primi anni ’60 si sviluppò a Torino anche la fisica nucleare teorica. Cominciò , in stretta collaborazione con le attività del laboratorio del sincrotrone, con lo studio del decadimento delle risonanze giganti e con il problema di ottenere le sezioni d’urto fotoniche a energia fissata (Molinari 1959) dai dati sperimentali. Fu l’inizio dell’attività degli studi nucleari che ha costituito da allora una componente importante della ricerca del gruppo teorico.

 

In connessione con l’idea di realizzare un nuovo sincrotrone che fornisse un fascio esterno di elettroni, Bottino, Guido Ciocchetti e Molinari studiarono la diffusione elettrone – nucleo ampliando l’analisi corrente degli esperimenti fatti a Stanford dal gruppo di R. Hofstadter (premio Nobel nel 1961). I componenti del gruppo poi si separarono perché passarono parecchi anni in diverse istituzioni all’estero. Bottino fu nel 1963-65 presso l’Ecole Normale Superieure e nel 1967-68 alla Johns Hopkins University occupandosi di proprietà dei nuclei: urti di elettroni, sistematica, energie di legame, effetti coulombiani nel decadimento beta, metodi di Hartree – Fock. Ciocchetti passò due anni a Orsay, 1965-67.

 

Molinari, a Copenhagen e Cornell (importanti centri per gli studi nucleari) tra il 1965 e il 1970, collaborò a studiare temi generali di fisica nucleare e metodi comuni a stati condensati e materia nucleare sviluppando il metodo di fase casuale e l’equazione di stato della materia nucleare (con Hans Bethe, premio Nobel nel 1967). Continuo` con ricerche di primo piano sull’elio liquido e su varii aspetti della fisica nucleare: reazioni nucleari, comportamento della materia nucleare, fisica adronica nel quadro di un collegamento sempre piú stretto tra la fisica nucleare e la fisica della materia adronica, in collaborazione con varie istituzioni internazionali. Molinari ebbe la cattedra a Ferrara nel 1976 e torno` a Torino nel 1979 dove prosegui` le ricerche sulla materia nucleare con un gruppetto di giovani ricercatori. All’inizio degli anni ’80 questo gruppo era impegnato a studiare effetti relativistici e di scala e l’interferenza tra correnti elettromagnetiche e deboli.

 

Negli anni ’70 Bottino indagò i decadimenti del quarkonio in cromodinamica quantistica. Dalla problematica dei decadimenti nucleari fu indotto ad occuparsi di proprietà delle correnti deboli neutre, studiò le conseguenze di diversi modelli di gauge per le interazioni deboli, analizzò modelli di grande unificazione e si occupò di possibili segnali di fisica oltre il modello standard sviluppando ricerche sulla fenomenologia delle particelle oltre il modello standard (instabilità del protone, quinta forza, oscillazioni del neutrone, modelli di grande unificazione, fisica dei neutrini). Ebbe la cattedra a Torino nel 1980 dove proseguì le ricerche sulla fisica oltre il modello standard.

 

Bosco, con alcuni neo laureati (Bruno Carazza, Piero Quarati, Bruno Mosconi, Pier Paolo Del Santo), sviluppò ricerche sui sistemi nucleari di pochi corpi. Nel 1964 prese la cattedra a Cagliari (passò poi nel 1968 a Firenze) dove una parte del gruppetto si spostò mentre Del Santo andò in USA e Carazza a Parma.

 

Fisica adronica delle alte energie: Predazzi aveva accettato una Maitrise des Conferences a Lione nel 1964, iniziando una collaborazione proseguita nei due anni seguenti da Rossetti e de Alfaro. Da allora e fino ad oggi Predazzi ha anche collaborato con Lione dando con Maurice Giffon contributi allo studio delle ampiezze d’urto adroniche a grandi energie. Nell’autunno 1964 Predazzi andò al Fermi Institute dell’Università di Chicago per due anni (primo Fermi Fellow di una lunga lista) dove si occupò di proprietà formali dell’ampiezza d’urto in rappresentazione eikonale, di potenziali singolari e altri studi. Sono di quegli anni studi (con Riccardo Levi Setti) sulle serie di risonanze e proprietà duali. Con de Alfaro cercarono metodi per sviluppi non perturbativi in teoria delle interazioni forti. Negli anni successivi Predazzi si dedicò alla fisica degli adroni, usando e sviluppando diverse tecniche teoriche. I risultati principali riguardano le reazioni adroniche sia esclusive che inclusive, in particolare le proprietà asintotiche, iniziando a studiare, con Giovannini, le proprietà generali dei fenomeni di produzione di molte particelle. Un altro tema ricorrente fu lo studio della condizione di unitarietà nell’urto a grandi energie. Passò il 1969-70 a Bloomington e l’anno dopo in Brasile. In ambedue i casi stabilì una collaborazione duratura; ritornò a Bloomington piú volte per periodi lunghi come visiting professor e a Rio per brevi periodi. Ebbe la cattedra a Torino nel 1976. Sviluppò lo studio di varii importanti aspetti della fisica adronica. Citiamo lo studio dei fenomeni diffrattivi ad alte energie e dei sistemi con quark pesanti. Predazzi estese le sue collaborazioni a diverse istituzioni, (Varsavia, JINR, London University etc.) e alla fine degli anni ’70 lavorò con Elliot Leader alla preparazione di un trattato sulla nuova fisica.

 

Alberto Giovannini (laurea nel 1962, incarico a Palermo 1963-65) studiò problemi delle rappresentazioni dei gruppi durante la permanenza alla Duke University (1965-66) ottenendo interessanti risultati con L.C. Biedenharn e sviluppando la geometria proiettiva dei coefficienti di Clebsch-Gordan. Si dette quindi allo studio della fisica adronica. Per superare lo schema del modello periferico per le correlazioni di molteplicità nella produzione di adroni agli acceleratori di alta energia, propose regole generali che furono verificate nei dati sperimentali disponibili alle grandi macchine (BNL, Fermilab e Serpukhov). Introdusse poi correlazioni per valutare le dimensioni della zona di interazione, collaborando con i gruppi sperimentali di Torino e Pavia, lavorando anche con H.B. Nielsen e con Veneziano (al CERN 1976-77). All’Imperial College nel 1978 provò che i jets di QCD sono a livello partonico, sotto certe approssimazioni, processi a cascata di Markov presentando soluzioni esplicite (con Anselmino) per le molteplicità partoniche. Negli anni successivi ampliò questi studi. Ebbe la cattedra a Salerno nel 1980 (e a Torino nel 1983) e proseguì lo studio delle reazioni mulltiple adroniche.

 

Luigi Sertorio, laureato a Torino nel 1958, aveva lavorato a Roma dal 1960, con contributi alla teoria del momento angolare complesso e alla fenomenologia adronica delle alte energie; fu poi in Iowa, a Berkeley e all’IAS, dove proseguì quelle ricerche con risultati interessanti. A Torino dal 1972 sviluppò la teoria della temperatura limite nella termodinamica degli adroni. Da questi interessi, abbandonando le particelle, passò alla termodinamica dei sistemi aperti sviluppando ricerche sulla produzione di entropia che lo condussero a problemi ecologici ed economici (bilancio energetico planetario, termodinamica globale dell’ecosistema).

 

Ritorniamo agli sviluppi generali. Dalla fine degli anni ’50 furono proposti schemi gruppali per classificare le particelle e le risonanze. Il gruppo di simmetria approssimato SU(3)F (cosiddetto "del sapore") per gli adroni, proposto nel 1961, fu confermato dalla scoperta della particella Omega- nel 1964. Fu proposta la struttura a quark (M. Gell-Mann, G. Zweig, 1964). La fisica delle particelle strane (le vecchie V, tau, theta poi chiamati mesoni K, e gli iperoni) si spiegava in termini dell’esistenza di un terzo quark, chiamato appunto "strano" che poteva decadere mediante interazioni deboli in un quark della materia nucleare. Cominciava un frenetico interesse sull’uso di gruppi di simmetria quasi esatti in fisica delle particelle, indotto dai successi delle formule di massa e dal lavoro su SU(6) di Radicati e Feza Gursey, ottobre 1964, che in parte si ispirava (in altro contesto) al lavoro di Gamba, Malvano e Radicati di 12 anni prima.

 

Per conciliare la struttura a quark con la Omega- fu quindi introdotto (M.Y. Han e Y. Nambu, 1965) il gruppo SU(3)C del colore (da non confondere con il precedente SU(3)F ) che fu confermato piú tardi da fatti sperimentali e necessità teoriche.

 

Le interazioni deboli contribuirono potentemente allo sviluppo delle conoscenze. Della non conservazione della parità (autunno 1956) si è detto. Il carattere universale di queste interazioni, la cui intensità era approssimativamente eguale per particelle dotate o prive di interazione forte, ne sottolineava il parallelismo (già alla base della teoria di Fermi del 1934) con le interazioni elettromagnetiche il cui schema fu generalizzato proponendo la conservazione delle correnti deboli vettoriali e il loro collegamento con corrente elettrica isovettoriale (CVC 1955, 1958), la conservazione approssimata delle correnti deboli assiali (PCAC 1960), e l’estensione di CVC alle correnti deboli di SU(3) (Cabibbo 1963).

 

Fubini e Furlan al CERN nel 1964 cominciarono a occuparsi del problema dal punto di vista delle regole di somma, inventando il famoso metodo p infinito.

 

 

Nota: Applicando questo metodo Steven Adler e William Weisberger spiegarono indipendentemente nel 1965 i valori delle costanti deboli assiali degli adroni, un risultato molto importante.

 

 

Con Rossetti, giunto al Cern, svilupparono diverse applicazioni. A Princeton de Alfaro aveva lavorato su schemi di gruppi di simmetria approssimati. Dal 1965 cominciò tra i quattro una collaborazione che produsse in pochi anni (1965 – 1969) una serie di risultati di primaria importanza e di successo: le applicazioni delle regole di somma e dei teoremi di bassa energia derivati dall’algebra delle correnti e le relazioni di superconvergenza. L’algebra delle correnti era basata sulla validità di relazioni di commutazione gruppali tra cariche e correnti deboli ed elettromagnetiche. Da esse si ottenevano regole di somma e teoremi di bassa energia. La superconvergenza deduceva regole di somma (soddisfatte dai dati sperimentali) dal comportamento delle ampiezze di urto di particelle con spin ad alte energie, mettendo cosí in luce per la prima volta la relazione tra basse e ad alte energie. Fubini ebbe il premio Heinemann per la Fisica matematica della APS nel 1968.

 

de Alfaro ebbe nel 1968 la cattedra di Fisica teorica a Bari e l’anno seguente vinse il concorso per la cattedra di Teoria dei Campi a Torino. Rossetti divenne professore aggregato in Fisica teorica a Torino nel 1970 e ordinario nel 1973. de Alfaro, Fubini, Furlan, Rossetti pubblicarono nel 1973 in inglese un trattato sull’algebra delle correnti e la fenomenologia delle particelle che fu tradotto subito in lingua russa.

 

In quegli anni Mario Verde promosse attivamente la formazione del Corso di Laurea in Informatica e si adoperò per avere in Facoltà Corrado Böhm, un grande informatico teorico. Promosse anche il centro di Calcolo dell’Università (vedere la sezione dedicata al calcolo). Aveva già favorito la formazione di un gruppo (Luigi Favella, Maria Teresa Reineri) dedicato alla cibernetica.

 

Nel settembre 1969, in occasione del centenario del sistema periodico di Mendeleev, fu organizzato tra l’Università, l’Accademia delle Scienze e l’Accademia dei Lincei, un congresso internazionale; in quell’occasione ebbero la laurea Honoris Causa Victor Weisskopf (MIT), Nikolai Bogolubov (JINR e Accademia delle Scienze dell’URSS) e Murray Gell-Mann (CalTech), cui un mese dopo sarebbe stato assegnato il premio Nobel per la struttura a quark degli adroni. L’anno prima era stato formalizzato, grazie a Wataghin e Verde, un accordo di scambio (con l’URSS era necessario formalizzare gli accordi) che portò a Torino parecchi ricercatori dell’Accademia delle Scienze e in URSS parecchi teorici torinesi (de Alfaro e Rossetti andarono in avanscoperta, ospiti di un Istituto dell’Accademia per un mese).

 

Nel 1968 – 69 la contestazione studentesca aveva alterato la normale espansione dell’Istituto. Le attività furono spesso interrotte e certi episodi ricordarono ad alcuni i tempi dello squadrismo. Seguì una disordinata serie di rivendicazioni (dagli impiegati ai borsisti) che bloccarono molte iniziative. Fubini, impressionato dalle occupazioni di istituto, dall’interruzione del seminario di fisica teorica e dal clima generale universitario, accettò nel una cattedra al MIT. Ritornò in Europa nel 1973 al CERN dove gli fu offerto un posto al massimo livello. In questi anni, e in quelli successivi, mantenne i contatti con Torino e realizzò anche un programma di scambio tra le due sedi, MIT e Torino, che portò a Torino, tra gli altri, Herman Feshbach, Roman Jackiw e Steve Weinberg ben prima che gli fosse conferito il premio Nobel (1979).

 

Torniamo agli sviluppi concettuali. Nel luglio 1968 il ventiseienne Gabriele Veneziano in un seminario a Torino illustrò la sua proposta per un’ampiezza d’urto che realizzava la dualità tra risonanze e comportamento alla Regge e aveva le proprietà di crossing richieste dalle teorie relativistiche. Si trattava di una teoria di matrice S con "risonanze" stabili (particelle). Una ampiezza analoga ma non identica (che risultò poi corrispondere a una teoria di stringhe chiuse) fu proposta quasi contemporaneamente dal fisico argentino Miguel Virasoro. In breve tempo vennero costruite ampiezze duali con un numero arbitrario di linee esterne.

 

Al MIT Fubini e Veneziano svilupparono in modo essenziale il modello duale in un fondamentale lavoro mostrando che lo spettro del modello era generato da una famiglia numerabile di oscillatori armonici che furono poco dopo (H.B.Nielsen, Nambu, D.Susskind) interpretati come i modi d’oscillazione di una corda relativistica (la "stringa"). I modelli duali, nati come teoria di matrice S, erano dunque interpretabili nel quadro della teoria quantistica dei campi. Stimolati dalle discussioni con Fubini e Veneziano nell’estate ’69, Stefano Sciuto e Ferdinando Gliozzi ottennero altri due ingredienti essenziali: il primo fornì la forma operatoriale dell’algebra di simmetria, generalizzata poi da Virasoro

 

 

Nota: Esule dall’Argentina dei generali, Virasoro passò tre anni a Torino (1977 – 1980) ed ebbe poi la cattedra a Roma. Attualmente è il direttore dell’ICTP di Trieste.

 

 

nella sua famosa algebra che aprì nuovi campi d’indagine sia nella matematica che nella meccanica statistica; il secondo determinò il vertice generale d’interazione fra tre stringhe.

 

 

Nota: Nel 1969-70 fu ospite a Torino per un anno, lavorando sui modelli duali, Mike Kosterlitz che divenne poi professore alla Brown University (transizione di fase di Kosterlitz – Thouless). La sua permanenza è ricordata anche per alcune vie alpinistiche, nel massiccio del Bianco e nelle palestre di roccia, che portano il suo nome.

 

 

Fubini e Veneziano, P. Campagna, Fubini, Ernesto Napolitano e Sciuto, Fubini, A.J. Hanson e Jackiw posero le basi per la costruzione delle teorie conformi, sviluppatesi poi pienamente a partire dagli anni ’80, e Rebbi, P. Goddard, J. Goldstone e C.B. Thorn posero su basi solide la quantizzazione della stringa.

 

 

Nota: Andrew J. Hanson è figlio del professore che lavorò al Sincro negli anni ’50. Claudio Rebbi, laureato e specializzato a Torino e poi trasferito negli USA, fu tra i pionieri delle simulazioni numeriche per lo studio della QCD su reticolo e ha attualmente responsabilità di primo piano nell’organizzazione dell’uso del calcolatore per la ricerca scientifica di base.

 

 

Il gruppo di giovani, allargatosi a Alessandro D’Adda e Riccardo D’Auria, iniziò una prolungata collaborazione con altri ricercatori italiani e stranieri (Firenze, Napoli, Göteborg, NBI, CalTech etc.) producendo una serie di articoli ampiamente citati nella letteratura come gli "Ademollo et al." In essi fra l’altro vennero per la prima volta introdotte le superalgebre conformi estese e le corrispondenti teorie di stringa, nonchè una teoria unificata di stringhe aperte e chiuse.

 

Dobbiamo ora occuparci di una trasformazione radicale del quadro concettuale generale. Tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70 il quadro di riferimento cambiò . Chiarito il meccanismo della rottura spontanea globale e locale venne formulata (1962-68) la teoria di campo unificata delle interazioni elettrodeboli. Le correnti deboli neutre previste furono misurate nel 1973 al CERN (dove 10 anni dopo, con la trasformazione del SpS in SppbarS, furono prodotti i bosoni intermedi della teoria di campo delle interazioni deboli, premio Nobel 1984 a Carlo Rubbia e Simon van Der Meer).

 

La teoria dei campi, trascurata dai piú fin dagli anni ’50, riprese quota diventando lo strumento per descrivere la fisica delle particelle, per via di molti successi nella comprensione delle forze che agiscono in natura. Fu provata la rinormalizzabilità delle teorie di gauge (G. ‘t Hooft; M. Veltman) e cosí la teoria elettrodebole divenne computabile perturbativamente. Per gli adroni, confermato ormai il modello a quark di carica frazionaria, il gruppo SU(3)C di "colore" diventò la base per la teoria di gauge delle interazioni forti tra quark (cromodinamica); fu provata la libertà asintotica che implica la computabilità perturbativa della cromodinamica alle alte energie, confermata dai risultati degli urti a grandi energie (la produzione di getti adronici); si costruirono argomenti per spiegare il confinamento dei quark (dall’inizio alla fine degli anni ’70).

 

Nell’urto profondamente anelastico di leptoni

 

 

Nota: Particelle prive di interazione forte.

 

 

su adroni fu trovato, alla fine degli anni ’60, il comportamento di scala (J.D. Bjorken, laurea Honoris Causa a Torino, 1993) e fu provata la composizione partonica degli adroni (R.P. Feynman già nel 1961, alla Conferenza di Aix – en – Provence, aveva posto il problema).

 

La "rivoluzione sperimentale del novembre 1974" (scoperta dello stato J-psi composto da quark – antiquark di tipo "charm" a BNL e Stanford) apportò ulteriori fondamentali novità. Si scoprì negli anni immediatamente successivi il settore dei quark e dei leptoni pesanti (dopo il "charm" il "bottom" e il leptone "tau", molto piú tardi il quark "top"). Colore, numero e cariche dei quark e dei leptoni si combinarono in modo da eliminare una proprietà apparentemente inconsistente della teoria dei campi (anomalia). La relazione tra teoria dei campi ed esperimento si fece piú stretta: da allora la teoria dei campi agì nuovamente da propulsore, come ai tempi di Yukawa ma in un contesto ben piú sicuro metodologicamente e enormemente piú complesso nelle manifestazioni sperimentali. Si aprì la strada alla riflessione sulle unificazioni tra interazioni (elettrodebole e forte) e tra particelle (leptoni e adroni) ad energie oggi non raggiunte. Si stabilizzò il modello di riferimento (interazione elettrodebole e cromodinamica: modello Standard della fisica delle particelle) e si sviluppò la connessione tra la storia dell’universo iniziale e la fisica delle particelle, capitolo fondamentale della cosmologia (modello Standard cosmologico).

 

Nuovi metodi teorici furono sviluppati: il gruppo della rinormalizzazione, la relazione tra teoria dei campi e meccanica statistica, le universalità nelle transizioni di fase, le computazioni di proprietà degli adroni su spazio – tempo reticolare, gli studi di effetti non perturbativi (soluzioni classiche, monopoli, solitoni, instantoni, tunneling), le teorie di campo effettive, etc.

 

Dalla stringa ebbero origine le teorie supersimmetriche (simmetria fra bosoni e fermioni). Furono all’origine di teorie di campo che estesero il modello standard di riferimento collegando campi fermionici e bosonici (ancora da confermare).

 

Ancora il 1974 segnò una data cardinale per la nuova fase della teoria della stringa: in quell’anno, abbandonata la teoria di matrice S per le interazioni forti, sostituita dalla cromodinamica, la stringa trovò un ruolo diverso, piú generale: fu proposto (J. Scherk e J. Schwarz) che la teoria, invece di costituire un approccio fenomenologico alla fisica degli adroni per energie dell’ordine del GeV, rappresentasse la teoria generale delle interazioni quantistiche ad altissime energie, inclusa la relatività quantistica, con un cambio di scala di molti ordini di grandezza (fin quasi alla massa di Planck). Il gravitone, un ospite indesiderato nella vecchia interpretazione dei modelli duali, ebbe la sua rivincita, grazie anche a un lavoro "Ademollo et al.", e la teoria della stringa divenne un candidato per la quantizzazione della gravità.

 

La teoria delle stringhe era afflitta da due problemi. La sua consistenza richiedeva un numero di dimensioni spaziali elevato. L’introduzione della supersimmetria ridusse a 9 le dimensioni spaziali necessarie.

 

 

Nota: Ciò viene risolto con un meccanismo di compattificazione alla Kaluza – Klein.

 

 

L’altro problema era la presenza di uno stato con massa immaginaria (il "tachione"). Tale ostacolo fu brillantemente superato dal classico lavoro di Gliozzi, J. Scherk e D.Olive che all’Ecole Normale nel 1977 costruirono la prima teoria di superstringa completamente consistente, elemento essenziale per le nuove stringhe; la "proiezione GSO" è uno strumento di uso corrente che ogni allievo di dottorato che lavori in questo campo deve saper maneggiare.

 

Alessandro D’Adda (dell’INFN), a Copenhagen nel 1976-78, con Di Vecchia e Luscher risolse nel limite di grandi N (numero di "colori") una classe di teorie bidimensionali (i modelli CP(n)) dotate di istantoni, rivelando importanti fenomeni non perturbativi, come la possibilità per campi non dinamici di acquisire un termine cinetico a livello quantistico. In altri lavori (con Paolo Di Vecchia) venne osservata l’assenza di correzioni quantistiche alla massa degli istantoni e monopoli in teorie supersimmetriche, un ingrediente essenziale per le dualità alla Seiberg e Witten in teoria dei campi.

 

Nella seconda metà degli anni ’70 Sciuto si occupò di instantoni e di teorie conformi in due dimensioni, della estensione della supersimmetria e della loro quantizzazione con importanti risultati.

 

Molte ricerche furono dedicate a sviluppare modelli di supergravità. Y. Neeman e Regge (1978), D’Adda, D’Auria, Frè e Regge (1980) formularono geometricamente la supergravità (questo gruppo stabilì poi una fruttuosa collaborazione con P. van Nieuwenhuizen e Sergio Ferrara a Stony Brook e a UCLA). Leonardo Castellani, D’Auria, Frè intrapresero la stesura di un trattato sul metodo geometrico in supergravità e superstringhe.

 

Dalla seconda metà degli anni ’70 de Alfaro, Fubini e Furlan si occuparono di varii aspetti di teoria dei campi: soluzioni classiche di teorie di campo conformi, di gauge e di relatività generale, invarianza conforme, formulazione funzionale della teoria dei campi; ebbero particolare successo le soluzioni "meroniche", la formulazione dell’invarianza conforme in meccanica quantistica (ripresa e sviluppata nella letteratura in vari contesti) e il problema della misura nella formulazione funzionale della teoria dei campi. Continuarono poi ad occuparsi di teoria dei campi, de Alfaro fu attivo anche in fenomenologia oltre il modello standard.

 

Fubini fece parte del Direttorato del CERN (1976-1980) dove tra l’altro la sua azione fu essenziale per promuovere e il progetto del collisore per elettroni e positroni LEP nella comunità dei fisici europei.

 

 

Nota: La sua attività sia di ricerca che di direzione scientifica gli valsero nel 1982 la laurea Honoris Causa dall’Università di Heidelberg.

 

 

Passiamo alla fenomenologia delle particelle. Nel rinnovamento di interesse per la teoria dei campi Giampiero Passarino fu nella seconda metà degli anni ’70 a Utrecht e poi ad Ann Arbor, Michigan; un lavoro molto noto (Passarino e M. Veltman) fondò e sviluppò il metodo generale per trattare perturbativamente le teorie di gauge. Passarino sviluppò poi studi di alta precisione sulla fisica elettrodebole alle alte energie, essenziali per il lavoro dei gruppi sperimentali di LEP.

 

Dalla metà degli anni ’70 Mauro Anselmino si dedicò alla fisica dei sistemi adronici; passò due anni a Bloomington Indiana e lunghi periodi a Varsavia (piú tardi a Londra). Sviluppò lo studio della struttura interna degli adroni dando contributi essenziali alla comprensione della struttura di spin del nucleone, spesso in collaborazione con i gruppi sperimentali interessati a questi problemi.

 

Alessandro Ballestrero, dell’INFN, iniziò l’attività di ricerca con Predazzi nel 1971 studiando modelli a cluster di produzione multipla. Nel quadro del modello Standard (teoria elettrodebole e cromodinamica) e sue estensioni supersimmetriche si dedicò poi allo sviluppo di metodi in teoria perturbativa che fornirono importanti previsioni e analisi relative agli esperimenti ai grandi acceleratori.

 

Torniamo alla fisica nucleare. Wanda Alberico si dedicò alla fisica nucleare con Molinari; fu nella seconda metà degli anni ’70 a Bonn occupandosi di potenziali nucleari; subito dopo al CERN lavorò su diversi aspetti della fisica nucleare. Nel quadro dello studio delle interazioni tra nuclei, pioni e risonanze mesoniche il gruppo studiò la condensazione pionica in alcuni tipi di funzioni di struttura, suggerendo esperimenti realizzati poi a Los Alamos e Bloomington.

 

Nella seconda metà degli anni ’70 Giovanni Pollarolo fu ospite del NBI e cominciò ad occuparsi dello studio dei meccanismi di reazioni fra ioni pesanti contribuendo allo studio del potenziale ottico, evidenziando in particolare l’importanza dei canali di trasferimento. Sviluppò lo studio di queste reazioni in stretta collaborazione con ricercatori dei LNL e del NBI, con importanti risultati sulle reazioni di trasferimento di piu’ nucleoni utili per studiare la produzione di ioni pesanti ricchi di neutroni.

 

La fisica teorica ha continuato a svilupparsi impetuosamente nei decenni recenti con l’apporto di nuove cattedre (Gliozzi, Sciuto, D’Adda – INFN, Francesco Pegoraro, Pietro Fré) e associati (Anselmino, Alberico, Ballestrero – INFN, Passarino, Pollarolo) ma i limiti del nostro mandato ci impongono di fermarci. Per ragioni di spazio non possiamo tentare neppure di elencare i tanti ospiti del gruppo per periodi dell’ordine del mese o dell’anno.

3.3 Alte energie.

 

Nei primi anni ’50 era avvenuto, nella fisica sperimentale delle particelle, un cambiamento epocale. I laboratori USA misero in funzione due grandi acceleratori, il Cosmotrone da 3 GeV (1952) a BNL e il Bevatrone da 6 GeV (1954) al Lawrence Radiation Lab di Berkeley. La comunità dei fisici di particelle si separò . La ricerca sistematica sulle proprietà delle particelle passò alle macchine acceleratrici, dove fasci regolari garantivano flussi che i raggi cosmici non potevano fornire. La ricerca sui raggi cosmici continuò vivace in due direzioni: lo studio delle proprietà del cosmo (astrofisica, fisica dello spazio, cosmologia) e l’indagine su fenomeni molto rari: il decadimento del protone e la fisica dei neutrini, come vedremo nel prossimo capitolo.

 

L’epoca dei lanci di emulsioni su palloni giunse alla fine: quando l’ultima rassegna su dati raccolti fu pubblicata nel 1963 da una grande collaborazione internazionale

 

 

Nota: Parteciparono istituzioni di Australia, Austria, Brasile, Canada, Germania, Giappone, India, Irlanda, Israele, Italia, Norvegia, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera.

 

 

cui partecipava Torino, i lanci erano finiti da un pezzo.

 

Il gruppo di Torino aveva tratto profitto: la conoscenza della tecnica delle emulsioni (e la collaborazione con fisici europei ed americani) permise di contribuire alle esperienze con le macchine acceleratrici già dal 1958. Il gruppo nel frattempo si andava ingrandendo: nel 1957 era composto da Garelli, Vigone, Debenedetti, Tallone, Cester, Quassiati, Bisi; tra il ’59 e il ’60 si aggiunsero Maria Itala Ferrero, Giovanni Borreani, Alberta Marzari Chiesa e Giuseppina Rinaudo. Il numero di tecnici aumentò corrispondentemente. A rinforzare il gruppo arrivò anche, fresco di PhD da Princeton, Albert Werbrouck, la cui competenza in informatica oltre che in fisica fu utilissima. Fu subito inglobato nel gruppo.

 

La prima esposizione agli acceleratori usò il fascio di particelle neutre del Bevatrone, per studiare i K0 a vita lunga e il fascio di K negativi. Le esperienze, che usavano ancora la tecnica delle emulsioni nucleari, erano dedicate a comprendere il comportamento delle particelle dotate di "stranezza".

 

La tecnica delle emulsioni venne però quasi subito abbandonata per lasciare posto alla piú efficiente tecnica delle camere a bolle che registrava su pellicole fotografiche le bollicine prodotte dalle particelle ionizzanti. Le camere venivano esposte ai fasci degli acceleratori e la grande frequenza di dati interessanti richiese l’uso di mezzi informatici. Fra il 1960 e il 1962 l’attrezzatura del laboratorio venne quindi rivoluzionata: fu una conversione radicale, dai microscopi ai proiettori, dalla registrazione completamente manuale dei dati all’automazione delle misure. Le macchine di misura, cui venivano dati strani nomi come Frankenstein e Mangiaspago, dovevano essere costruite nelle officine dell’istituto, essere precise ed efficienti, e costare poco.

 

L’automazione fu possibile grazie ai calcolatori elettronici, che da quegli anni cominciarono a essere strumenti di uso comune. Occorrevano però calcolatori potenti e l’Istituto non aveva finanziamenti adeguati: ci si doveva quindi arrangiare facendosi ospitare (ovviamente fuori orario) nei cosiddetti "Centri Meccanografici" delle ditte cittadine. Venne usata una IBM dell’Azienda Tranviaria e per lungo tempo si passarono anche notti e sabati pomeriggio alla Fiat Mirafiori, dove c’era una IBM 7040. Non era un modo facile di lavorare: a parte gli orari scomodissimi, si trasportavano avanti e indietro pacchi di schede perforate e rotoli di carta stampata (di cui uno, dimenticato sul tetto di una macchina, si srotolò lungo corso D’Azeglio…). Ancora nel 1963 si facevano faticose spedizioni a Ispra per usare i calcolatori dell’Euratom (si veda il capitolo sul calcolo).

 

L’entusiasmo era comunque grande, e i risultati furono gratificanti. Si studiò la fisica del mesone K attraverso i suoi modi di decadimento. Si cercarono anche eventi di corrente neutra, contribuendo con queste ricerche a chiarire che non esistono correnti neutre con cambio di stranezza. L’acceleratore usato fu il PS del Cern (una splendida macchina usata poi come alimentatore della catena di acceleratori del Cern) che entrò in funzione tra il novembre 1959 (primo fascio di protoni) e il febbraio 1960 (inaugurazione). Il materiale sperimentale consisteva in film dalla camera a bolle a idrogeno di Saclay e da quella a liquidi pesanti (propano, freon) dell’Ecole Polytechnique.

 

Gli esperimenti ebbero il carattere di collaborazioni internazionali. Alla collaborazione X2 che misurò a metà degli anni ’60 le caratteristiche del decadimento K+ — mu+ pi0 nu partecipavano, oltre a Torino, Aachen, Bari, Bergen, Parigi Ecole Pol., Nimega, Orsay, Padova. I risultati stabilirono la validità della teoria vettore — assiale delle interazioni deboli in questi decadimenti.

 

Verso la fine degli ani ’60 il gruppo si ramificò : una parte decise di dedicarsi allo studio delle interazioni forti degli adroni, l’altra parte preferì studiare le interazioni deboli dei neutrini.

 

Del primo gruppo facevano parte Borreani, Quassiati, Rinaudo, Vigone e Werbrouck (poi si aggiunsero Flavio Marchetto ed Ezio Menichetti mentre Werbrouck passò ad Informatica.). Garelli aveva vinto il concorso e ricoprì a Bari la cattedra di Fisica superiore dal 1964 al 1967. Il gruppo scelse di studiare le interazioni adroniche usando fasci di antiprotoni e pioni di alta energia, con l’obiettivo principale di studiare la spettroscopia degli stati adronici la quale aveva infatti avuto un fortissimo impulso negli anni ’60 con la scoperta di un gran numero di particelle e risonanze. Era viva l’esigenza di studiarne le proprietà per ricondurle ad una classificazione basata su leggi di simmetria semplici ed interpretabili. Il gruppo contribuì in particolare allo studio del cosiddetti mesoni assiali e successivamente, negli anni ’70, alla ricerca di indicazioni indirette della formazione di particelle dotate di "charm" (numero quantico che corrisponde alla presenza di un quark tipo "charm")

 

 

Nota: Gli effetti sperimentali del "charm" furono visti nel novembre 1974 a Brookhaven e a Stanford e nell’anno seguente fu riconosciuta l’esistenza del quark "charm".})

 

 

usando una versione elaborata di camera a bolle, sviluppata dai collaboratori del Rutherford Lab, che univa i vantaggi di un bersaglio a idrogeno e di un rivelatore a liquidi pesanti.

 

Diego Gamba, Marzari Chiesa e Alessandra Romero, cui poi si aggiunsero Daniela Allasia e Lodovico Riccati, si dedicarono ad esperimenti con fasci di neutrini sotto la guida di Franzinetti, grande esperto mondiale in questo campo. Vennero studiate le interazioni di antineutrini nella camera a bolle Gargamelle riempita di propano ed esposta al fascio del PS, la produzione di particelle dotate di charm e le interazioni di neutrini e antineutrini nella camera a bolle BEBC riempita di deuterio ed esposta al fascio del SpS.

 

 

Nota: L’acceleratore Super Proton Synchrotron del CERN entrò in funzione nel 1976: accelera protoni fino a un’energia di 450 GeV.}.

 

 

In questi esperimenti si misurarono con precisione le sezioni d’urto di neutrini e antineutrini in funzione dell’energia, si ottenne un’ottima valutazione dell’angolo di Weinberg e vennero determinate le funzioni di struttura di interazione debole per ogni tipo di quark. Vennero osservati i primi eventi con particelle charmate neutre e il primo barione dotato di charm. La tecnica usata per il charm fu estesa all’osservazione diretta di particelle con numero quantico "beauty", problema ancora piú difficile per la minore sezione d’urto: venne comunque visto un bellissimo esempio (il primo) di produzione associata di queste particelle.

 

La tecnica delle camere a bolle andava via via ibridizzandosi e gli esperimenti diventavano sempre piú complessi: le camere a bolle vennero a poco a poco abbandonate fra gli anni ’70 e gli anni ’80 con la conversione a tecniche completamente elettroniche piú adeguate a selezionare i dati significativi, originati da processi con bassa probabilità, dall’enorme quantità di dati sperimentali prodotti. Fra gli esperimenti val la pena ricordare l’esperimento R704 agli ISR del CERN, in cui furono coinvolti Rosanna Cester Regge appena rientrata da Princeton (1978), Borreani, Marchetto, Menichetti e Rinaudo (cattedra dal 1976), ultimo esperimento prima della definitiva chiusura degli ISR e primo esperimento ad adottare la tecnica innovativa del bersaglio a getto, in cui il bersaglio delle particelle accelerate non era piú fisso ma costituito da un getto di atomi di idrogeno che attraversava in volo la ciambella dell’anello di accumulazione intercettando il fascio di antiprotoni accelerati. Questo esperimento fu il primo di una serie (la tecnica sperimentale usata venne esportata dal gruppo, negli anni ’80, all’accumulatore di antiprotoni del Fermilab, dove viene tuttora utilizzata per lo studio della fisica del charmonio).

 

Dal 1967 si aprì una nuova linea di ricerca che usò tecniche elettroniche per lo studio della fisica del K0 (la violazione del prodotto di parità e coniugazione di carica nel decadimento del K01 era stata trovata nel 1964). La collaborazione CERN – Aachen – Torino,

 

 

Nota: M.I. Ferrero, Bisi e giovani laureati.

 

 

diretta da Carlo Rubbia, realizzò uno spettrometro magnetico con camere a filo e rivelatore Cerenkov che venne usato al PS del CERN. Dalla raccolta dati si ottennero molti risultati interessanti riguardanti la differenza di massa, l’ampiezza di rigenerazione, i fattori di forma del K0 l3 e la loro dipendenza funzionale dall’impulso trasferito. Con l’entrata in funzione degli ISR (1971) la collaborazione effettuò le prime misure della sezione d’urto differenziale protone – protone a piccoli angoli.

 

Per potenziare la linea di ricerca che usava tecniche elettroniche, Franzinetti fece venire dal CERN Piero Dal Piaz (poi Rettore dell’Università di Ferrara negli anni ’90) e Paola Ferretti Dal Piaz

 

 

Nota: A questi si aggregarono i neo laureati Cristiana Peroni e Luigi Tecchio.

 

 

per realizzare le misure dell’annichilazione protone + antiprotone — e+ e-, determinando con precisione il fattore di forma elettromagnetico del protone nella regione cinematica temporale (diversa da quella esplorata negli urti elettrone – protone).

 

Seguirono poi le grandi collaborazioni, a livello ormai planetario, formate da centinaia di ricercatori, ingegneri, tecnici e informatici: già negli anni ’70 Torino

 

 

Nota: Dalpiaz, M.I.Ferrero, Ferretti Dalpiaz, Franzinetti, Peroni.

 

 

prese parte a una vasta collaborazione per studiare i processi di diffusione profondamente anelastica muone – nucleone al SpS. L’importante esperimento promosso da Franzinetti, chiamato EMC, fu il primo di grandi dimensioni: interessava un’ottantina di fisici di 12 istituzioni di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, CERN e DESY. Con costi bassi, se paragonati a quelli di altri esperimenti, ottenne risultati di grande qualità e importanza mondiale. Ebbero numero di partecipanti e dimensioni ancora maggiori gli esperimenti dei decenni successivi in cui Torino ebbe ed ha un ruolo molto importante (al LEP, all’esperimento Delphi, ioni pesanti, MACRO al Gran Sasso, a Fermilab, nella progettazione della sperimentazione ad LHC), con nuove cattedre (Cester, Borreani, Marzari, Riccati – INFN) e professori associati; ma il nostro racconto deve fermarsi.

3.4 Fisica del cosmo.

 

Come abbiamo detto, abbandonata agli acceleratori la ricerca sistematica sulle proprietà delle particelle la ricerca sui raggi cosmici allargò l’orizzonte allo studio delle proprietà del cosmo (astrofisica, fisica dello spazio, cosmologia) e si dedicò alla ricerca di fenomeni particellari molto rari non visibili agli acceleratori: il decadimento del protone, i segnali da neutrini cosmici.

 

Castagnoli aveva alle spalle una grande esperienza di ricerche sui raggi cosmici, sia con le emulsioni che con contatori, al Plateau Rosa. Persuaso dall’esperienza accumulata nello studio dei raggi cosmici che la creazione di laboratori sotto roccia fosse molto importante sia per alcuni aspetti fondamentali della fisica delle particelle che per lo studio degli eventi cosmici, si dedicò con lungimiranza ed energia alla creazione di un laboratorio sotterraneo, al ripristino del laboratorio della Testa Grigia e all’organizzazione degli esperimenti relativi. piú tardi promosse studii di astrofisica e di geofisica.

 

La prima impresa fu la messa in opera nel 1962 del Laboratorio del Monte dei Cappuccini (40 -100 metri di acqua equivalente) per il quale il Comune di Torino concesse l’uso dei locali. Cominciò l’attività caratteristica del laboratori sotterranei dove il fondo cosmico è basso.

 

Molta attenzione fu dedicata alle misure di modulazione diurna ed annuale della radiazione cosmica, da cui si possono ottenere informazioni sul campo magnetico che si propaga dal Sole verso lo spazio esterno. Si ottennero risultati sulle variazioni diurne e indicazioni sulle variazioni sideree (Giuliana Cini, cattedra nel 1973, cui si aggiunsero Ester Antonucci e Maria A. Dodero). Il laboratorio è servito anche per misure di di radioattività di piccolissima intensità: in collaborazione con geologi e astrofisici, il gruppo di G. Cini ha eseguito misure di precisione su meteoriti "fresche" e sedimenti, anche in collaborazione con Ahmedabad, India.

 

In quel periodo Castagnoli si dedicò anche al progetto LEALE ai LNF, un laboratorio per utilizzare l’iniettore del collisore e+ e- ADONE in modo da produrre fasci secondarii.

 

Ma il laboratorio dei Cappuccini è poco profondo. Esso servì soprattutto come esperienza pionieristica per il secondo passo, la creazione di un vero laboratorio sotterraneo di grande profondità. Valendosi dell’esperienza fatta ai Cappuccini il gruppo ottenne (per concessione gratuita della Società del Tunnel del Monte Bianco) due sale laterali nella Galleria (1965), ciascuna di 80-90 metri quadri, ad una profondità equivalente a 5000 metri di acqua in verticale.

 

Il laboratorio del Monte Bianco fu il migliore laboratorio sotterraneo del suo tempo, combinando in modo ottimale i vantaggi della profondità e dell’accessibilità. Fu il primo ad essere servito da un’autostrada. Vi si poteva fare fisica di ampio respiro. Gli esperimenti furono indirizzati ai seguenti problemi: la fisica dei muoni di elevata energia, superiore a quella ottenibile dagli acceleratori; la fisica cosmica neutrinica; lo studio della composizione dei primari cosmici di energia maggiore di quella misurabile con i satelliti; l’osservatorio neutrinico delle esplosioni delle Supernovae; la vita media del protone.

 

L’apparecchiatura realizzata all’inizio fu uno scintillatore liquido contornato da uno scintillatore plastico, controllati con tecniche fotografiche. Fu seguita da un insieme telescopico di camere a scintilla (ogni sera si sviluppavano le pellicole). In questo laboratorio la collaborazione scientifica Frascati, Roma, Torino eseguì le prime ricerche sul decadimento del protone e ricavò dai dati sperimentali il primo limite inferiore di 1027 anni. Il gruppetto iniziale ebbe nella prima metà degli anni ’60 il contributo di energie dei giovani Laura Bergamasco e Pio Picchi che vi si dedicarono.

 

Successivamente fu costruito un rivelatore piú grande (circa 100 tonnellate di scintillatore liquido), chiamato LSD (liquid scintillator detector), circondato da camere a deriva che fornivano indicazioni sulla direzionalità del segnale. Occupava l’intera sala lasciando uno stretto passaggio che solo i piú magri potevano usare. Questo esperimento, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze dell’URSS, era destinato a misurare neutrini da collassi stellari. La conduzione dell’esperimento fu coordinata da Oscar Saavedra, aggiunto al gruppo nella seconda metà degli anni ’60.

 

Quasi contemporaneamente nella seconda sala si costruì, in collaborazione tra Torino, Milano, Frascati e CERN, l’apparato NUSEX, calorimetro ad alta granularità per la misura del decadimento del protone. Dall’Università di Torino, oltre a Castagnoli, partecipavano Pio Picchi, Gianfranco Bologna e Saavedra.

 

 

Nota: Picchi e Bologna ebbero la cattedra nel 1977.

 

 

Il limite inferiore della vita media del protone fu portato a 1031 anni e si trovò anche un evento che potrebbe essere il decadimento di un protone.

 

Il lavoro pionieristico e i risultati ottenuti dimostrarono l’importanza delle misure nei laboratori sotterranei. Un forte gruppo di fisici francesi (Ecole Normale), seguendo l’esempio, progettò un laboratorio simile, piú ampio, nella galleria del Frejus e naturalmente collaborò , all’inizio, col gruppo torinese.

 

Ma nella seconda metà degli anni ’70 i risultati ottenuti dai laboratori sotterranei spinsero l’INFN a progettare e mettere in funzione un grande laboratorio a livello nazionale nella Galleria del Gran Sasso (LNGS, che divenne operativo verso il 1985 ospitando grosse collaborazioni internazionali). La collaborazione al Frejus appena iniziata dovette essere interrotta perché ogni risorsa venne convogliata al Gran Sasso.

 

 

Nota: La fisica sviluppata al laboratorio del Monte Bianco fornì la base per la realizzazione del grande apparato rivelatore LVD al LNGS.

 

 

Passiamo ora al Laboratorio della Testa Grigia, che nei tardi anni ’50 fu trascurato per via dell’attenzione (e delle risorse umane e finaziarie) dedicate alla fisica degli acceleratori. Fu ripristinato nel 1965 e gestito da Torino. Da allora fu attivo a decifrare i segnali cosmici per informazioni astrofisiche. Le misure svolte (coordinatore Gianni Navarra) riguardarono i problemi dell’origine, della propagazione e dell’accelerazione dei raggi cosmici. Si misurarono gli spettri di energia, la composizione chimica e le anisotropie nella distribuzione dei primari. Vennero sviluppate tecniche per studiare le diverse componenti degli sciami atmosferici estesi (EAS). Furono di particolare importanza gli sviluppi dell’uso della luce Cerenkov, la cui direzionalità favorì poi lo sviluppo dell’astronomia gamma di alta energia con ricerca di singole sorgenti, in collegamento con gli altri osservatori mondiali. Naturalmente verso la fine del periodo descritto molte operazioni vennero automatizzate, una necessaria conseguenza delle difficoltà ambientali.

 

L’attività nei due laboratori si svolse sotto l’egida del CNR che nel dicembre 1968 istituì il Laboratorio di Cosmogeofisica e quindi, nel dicembre 1979, l’Istituto di Cosmogeofisica (ICG) diretto da Castagnoli.

 

Accanto alle ricerche sui raggi cosmici si sviluppò un gruppo di fisica solare formato da Ester Antonucci, Maria Adele Dodero e Daniela Marocchi che ha partecipato allo studio dell’attività solare nella banda dei raggi X e UV con le missioni XMM e SOHO, sviluppando strumentazione spaziale e lavorando all’interpretazione dei dati.

 

Molti fisici esperti di questi problemi hanno collaborato con questi gruppi sia nel laboratorio del Monte Bianco che al Plateau Rosa. Tra i tanti scienziati spiccano in particolare le figure di Georgii Zatzepin (INR e Accademia delle Scienze, Mosca), di Alexander Chudakov e Venia Berezinsky (INR Mosca e poi LNGS) e di Kurt Sitte (Un. di Freiburg a.B.) che passò un lungo periodo a Torino. Bruno Pontecorvo promosse la collaborazione con l’Accademia delle Scienze sovietica. Sono tutti personaggi di grande rilievo nella fisica delle particelle e del cosmo.

 

Nel 1963 Castagnoli associò all’attività sperimentale sui raggi cosmici un gruppo teorico per lo studio delle sorgenti astrofisiche di particelle di alta energia, affidato alla guida di Alberto Masani. Ne fecero parte Giovanni Silvestro e Roberto Gallino, cui nell’anno successivo si aggiunse Attilio Ferrari. I problemi inizialmente affrontati riguardavano l’analisi delle sorgenti astrofisiche di neutrini di alta energia, lo studio delle ultime fasi dell’evoluzione stellare, collassi gravitazionali, esplosioni di supernova. Successivamente gli interessi si estesero a problemi di astrofisica extragalattica. Si veda anche sotto la voce "Astronomia".

 

Piú avanti giunsero nuove cattedre (Ferrari, Bergamasco) e posti di associato. Importanti iniziative svilupparono queste ricerche al LNGS (LVD, coordinatore Piero Galeotti per Torino) e al soprastante Campo Imperatore (EAS-top, coordinatore Navarra). Si aggiunsero le ricerche per lampi di raggi gamma nel cosmo e per quark "strani" nella radiazione cosmica primaria (coordinatore Saavedra).

3.5 Fisica nucleare ed energie intermedie.

 

Nel laboratorio sotterraneo del Sincrotrone vennero compiute esperienze per studiare le risonanze giganti nucleari fino a 100 MeV. Furono progettati e realizzati diversi strumenti di misura (rivelatori di neutroni). La risposta del nucleo a fotoni di energia al di sopra della risonanza fu chiarita evidenziando tra l’altro l’importanza dei processi di interazione diretta dei fotoni con coppie di nucleoni correlati spazialmente (quasi-deutone) e con singoli nucleoni (col contributo teorico di Molinari), effetti connessi alle componenti ad alto impulso della funzione d’onda nucleare.

 

Renato Malvano prese la cattedra a Genova nel 1960; F. Ferrero era al CERN e nel 1967 avrebbe preso la cattedra a Bari (tornò nel 1975). Sergio Costa collaborò con il Laboratorio dell’Acceleratore Lineare di Orsay dove gli esperimenti vennero estesi fino ad oltre la soglia di produzione mesonica con misure che chiarivano varii aspetti di modellistica nucleare.

 

Luigi Gonella intanto si occupava di migliorare le prestazioni della macchina. Ci si era resi immediatamente conto dei vantaggi di un acceleratore che, invece di estrarre dalla ciambella i fotoni prodotti dagli elettroni che urtavano contro un bersaglio, inviasse direttamente il fascio di elettroni all’esterno. Prevalse l’idea di progettare una macchina nuova. Di qui l’impegno di Gonella per progettarla e quello di Malvano (allora a Genova e poi al Politecnico) per promuoverne la realizzazione. L’impresa avrebbe ecceduto le risorse di ogni singola università e si formò una collaborazione di 4 università (Torino, Torino Politecnico, Genova e Pavia) per un laboratorio da costituire ad Alessandria. Il progetto fu preparato ed entrò nel programma quinquennale dell’INFN, ma nei primi anni ’70 in sede nazionale prevalsero la capacità contrattuale di Padova e le necessità catanesi. Furono approvati il laboratorio di Legnaro (LNL) per ioni pesanti e il LNS per il sincrotrone superconduttore costruito a Milano, e mancarono le risorse e l’appoggio necessari per realizzare un terzo polo nucleare ad Alessandria.

 

Nel 1958 si era formata una collaborazione con il gruppo di Genova diretto da Alberto Gigli Berzolari per costruire due camere a diffusione e una camera a bolle da esporre sia al sincrotrone di Torino che al nuovo elettrosincrotrone dei LNF. Da parte torinese parteciparono al progetto Guido Piragino e Valdo Bisi, cui si unì l’anno dopo M.I. Ferrero. All’elettrosincrotrone si studiarono i processi di foto produzione di pioni su nuclei leggeri (e si trovò tra l’altro l’isotopo instabile H4 di cui si studiò il decadimento in H3 + n).

 

Per alcuni anni, dal 1964, il gruppo Costa, Piragino e Bruno Minetti collaborò con fisici teorici di Francoforte (W.Greiner e collaboratori) nello studio accurato della struttura intermedia dell’assorbimento nella regione della risonanza gigante, prevista dai teorici.

 

In parallelo Piragino, con l’arrivo di Garfagnini nel 1963, studiò sistematicamente i processi di fotodisintegrazione dei nuclei utilizzando una camera a diffusione riempita di elio a bassa pressione per misure sistematiche di energia e polarizzazione dei foto neutroni. Con la stessa tecnica in campo magnetico si ottennero risultati molto precisi su tutti gli aspetti della foto disintegrazione di He4 che misero in luce l’esistenza di sottostrutture nucleari nei nuclei leggeri.

 

Alla fine degli anni ’60 il gruppo iniziò ad affiancare alle ricerche svolte a Torino nuove attività nel campo della fisica nucleare indagata con fasci di particelle. Precisamente, ai LNF, nell’ambito del Progetto LEALE, utilizzando fasci secondari di pioni prodotti dall’iniettore della macchina ADONE (Piragino – Garfagnini), e allo SC del CERN (Costa) dove, oltre ad esperimenti di diffusione pione-nucleo, furono studiati fenomeni di produzione di pioni in collisioni nucleo-nucleo.

 

Dal 1968, sostenuta da Bruno Pontecorvo, iniziò una stretta collaborazione di Piragino e Garfagnini, cui si unì Luigi Busso, con il JINR di Dubna per studiare l’interazione tra pioni e isotopi dell’elio nella regione della risonanza Delta. A Frascati la collaborazione studiò l’assorbimento dei pioni positivi, con risultati che giustificarono l’estensione di questo tipo di esperimenti a SIN e TRIUMPH. A Dubna si studiarono varii altri processi collegati, ideando un nuovo tipo di rivelatore

 

 

Nota: In letteratura è indicato come "Self Shunted Streamer Chamber".

 

 

realizzato in collaborazione. Al gruppo contribuì a metà degli anni ’70 l’apporto di Ferruccio Balestra e di Livio Ferrero. Piragino ebbe la cattedra nel 1973, Garfagnini nel 1980 a Udine (rientrò a Torino nel 1985).

 

Forte di queste esperienze ai fasci dei pioni, alla fine degli anni ’70 il gruppo, sempre in collaborazione con Dubna, preparò un nuovo spettrometro che venne esposto al fascio di antiprotoni di bassa energia appena prodotto dall’apparato LEAR al CERN, approfondendo le conoscenze sull’urto e sull’annicihilazione degli antiprotoni nei nuclei leggeri. Dalle misure svolte si potè dedurre il limite della quantità di antimateria presente nell’Universo alcuni minuti dopo la Grande Esplosione.

 

Il gruppo che lavorava al generatore di neutroni (Brovetto, che ebbe la cattedra a Cagliari nel 1964, Bonazzola, Bressani e Chiavassa), oltre a studi sui modelli nucleari, mise a punto una tecnica originale per lo studio della diffusione a grandi angoli che consentì di determinare con precisione certi aspetti dell’interazione spin orbita.

 

Bressani poi, con una borsa al CERN, collaborò con Charpak allo sviluppo delle camere proporzionali a filo. Al suo ritorno, nel ’68, egli e Chiavassa costituirono il nucleo di un gruppo di ricerca nel campo della fisica adronica ad energie intermedie. Il primo esperimento riguardò la misura, fatta al SC del CERN, della cattura radiativa di pioni negativi su protoni per studiare l’invarianza per inversione temporale degli stati adronici e la struttura di isospin delle correnti elettromagnetiche. Successivamente lo stesso gruppo effettuò misure sulla reazione di scambio carica nell’intorno della risonanza Delta contibuendo ad una determinazione precisa dei parametri dell’analisi in fase di quei processi.

 

Nel 1970, su suggerimento di C.Rubbia, Bressani, Chiavassa e Bonazzola

 

 

Nota: Si erano aggiunti i giovani Alfredo Musso, Giuseppe Dellacasa e Mauro Gallio.

 

 

studiarono la produzione di ipernuclei da un fascio di K- in volo al PS del CERN. L’esperimento, con la nuova tecnica delle camere proporzionali, mostrò la possibilità e l’utilità di studiare ipernuclei con tecniche di contatori e fu il capostipite di una serie di misure effettute al CERN e a BNL cui il gruppo non potè partecipare per difficolta di inserimento nei programmi della fisica nucleare italiana.

 

Nel 1976 il gruppo, cui si aggiunse Costa, promosse la collaborazione che realizzò lo spettrometro a grande accettanza OMICRON da usare allo SC del CERN, con lo scopo iniziale di studiare l’interazione pione nucleo confrontandola con le previsioni teoriche. Di particolare rilievo furono le misure di diffusione a grandi angoli su deuterio ed ossigeno. Bressani ebbe la cattedra nel 1976 a Cagliari (tornò a Torino nel 1985), Costa nello stesso anno, Bonazzola nel 1977, Chiavassa nel 1980.

 

A seguito dell’adattamento del SC2 del CERN alla produzione di fasci di ioni leggeri il gruppo di Torino propose ed eseguì misure di produzione di pioni per interazione doppiamente coerente nucleo-nucleo. Il fenomeno fu osservato per la proma volta nonostante una sezione d’urto di picobarn. Successivamente con un fascio di ioni C da 86 MeV/c si evidenziò la produzione di mesoni sotto soglia. Negli anni successivi al 1980 questo gruppo realizzò esperimenti al LEAR (Bressani, Costa, Minetti) e a Saturne (Raimondo Bertini, Chiavassa et al.). Poi i gruppi che lavoravano al LEAR si unirono in un grande esperimento sulla annichilazione di antinucleoni utilizzando lo spettrometro Obelix

3.6 Altre attività

 

Le ricerche descritte in questo capitolo non costituiscono certo rami poco importanti. Esse sono raggruppate insieme perché hanno le seguenti caratteristiche: sono cominciate piú tardi, sono gestite da piccoli gruppi di ricercatori e le ricerche non riguardano le strutture elementari o cosmologiche ma campi in cui la fisica si trova al confine con altre discipline (matematica applicata, ambiente, insegnamento e apprendimento, sanità, biologia, scienza dei materiali).

 

3.6.1 Biofisica.

 

All’interno dell’Istituto di Fisica superiore Franzinetti formò , a partire dalla fine degli anni ’60, un gruppo di Cibernetica e Biofisica che in seguito ha costituito, insieme ad altri ricercatori dell’Università di Torino, l’Unità di Ricerca di Torino del Gruppo Nazionale di Cibernetica e Biofisica del CNR.

 

L’attività del gruppo fu principalmente rivolta allo studio dei problemi della percezione visiva. In una prima fase vennero svolte ricerche sulle figure ambigue; in seguito si aggiunsero ricerche sui fuzzy sets, sui modi di codifica delle configurazioni da parte del sistema visivo e sui modelli di invarianza dei processi di riconoscimento. Piu’ recentemente la ricerca è stata dedicata allo studio di modelli di ricostruzione tridimensionale, all’ analisi di immagini a diverse scale di risoluzione e all’ elaborazione di modelli di reti neurali.

 

Hanno collaborato all’attività del gruppo, in tempi diversi e per periodi piu’ o meno lunghi, Bonazzola, Ciocchetti, A. De Marco, Mario Ferraro, Franzinetti, Mario Maringelli, Piero Penengo, Aurelia Trabucco, Paolo Violino.

 

3.6.2 Didattica nelle scuole.

 

A metà degli anni ’60 la ristrutturazione del Corso di Laurea in Fisica in tre indirizzi (Generale, Applicativo e Didattico), stimolò lo sviluppo di un nuovo filone di attività rivolto ai problemi della trasposizione didattica della Fisica a livello di Scuola Secondaria e dell’aggiornamento degli Insegnanti di Fisica. Due furono le attività principali. La prima condusse all’istituzione del "Seminario Fisico di Aggiornamento e Didassi di Torino", diretto da Castagnoli, che annualmente organizza, unitamente al Seminario di Storia della Fisica, cicli di conferenze su temi di attualità della ricerca nel campo della Fisica e della sua storia. Le conferenze sono principalmente rivolte agli insegnanti di Scuola Secondaria, ma per il loro alto livello di divulgazione scientifica, interessano spesso un pubblico ben piu’ vasto. All’attività ha collaborato attivamente Luigi Briatore, che da molti anni si occupa di storia e didassi della fisica con importanti ricerche su parecchie figure della storia della scienza italiana e torinese in particolare.

 

Il secondo filone, iniziato negli anni Settanta e portato avanti con grande impegno ed entusiasmo da Ilde Quassiati, riguarda invece attività di aggiornamento attivo degli Insegnanti di Scuola Secondaria, attraverso lo sviluppo di ricerche in Didattica della Fisica. Intorno a Quassiati si raccolse rapidamente un gruppo molto attivo di insegnanti di Scuola Secondaria impegnati a introdurre elementi di innovazione nell’insegnamento della Fisica nella Scuola Secondaria. Fra questi ebbe un rilievo tutto particolare Antonella Bastai (1941 – 1988), che aveva abbandonato una carriera scientifica di ricerca in fisica teorica molto promettente iniziata sotto la guida di Sergio Fubini per dedicarsi completamente alla Scuola Secondaria.

 

 

Nota: Si veda "Scuola, Scienza e Società", La Fisica nella Scuola Suppl. 3, anno XXIII, luglio – settembre 1990, pp. 1 – 240.

 

 

Numerosi sono stati negli anni i contributi dati dal gruppo alla promozione di una didattica della fisica piu’ dinamica e aperta alle nuove esigenze, dalla traduzione e sperimentazione di testi allo sviluppo di materiali didattici e all’utilizzo innovativo di mezzi multimediali. Questa esperienza si sta ora rivelando preziosa nell’avvio delle Scuole di Specializzazione per gli Insegnanti di Scuola Secondaria.

 

3.6.3 Geofisica.

 

L’attività di ricerca in geofisica e fisica dell’ atmosfera a Torino, nata intorno all’ anno 1965, ebbe come tematica iniziale l’"effetto antropico" sull’ambiente e la possibilità di influire sui regimi di precipitazione naturali (Weather Modification), temi di interesse a quell’ epoca. I temi di ricerca, sviluppati da Arnaldo Longhetto e da Angelo Piano, furono la fisica della dispersione turbolenta e del trasporto di traccianti atmosferici nella troposfera inferiore (con la messa a punto, da parte di Longhetto, di un tracciante lagrangiano a galelggiamento costante), lo studio delle circolazioni atmosferiche alpine e la fisica delle idrometeore in troposfera media. Collaborazioni principali di questa prima fase furono quelle con il CNR (ICG di Torino, FISBAT di Bologna, IFA di Roma) e con i Laboratori CERL (UK) e EdF (Parigi Chatou).

 

Successivamente si avviarono di esperimenti e ricerche sulla fisica dello strato limite planetario dell’atmosfera; per questo studio furono impiegati sensori remoti di temperatura dell’aria (sviluppati "in casa" da Pietro Paolo Lombardini e Giuseppe Bonino) e di velocità del vento. Questa linea di ricerca ha portato, fra l’altro, allo sviluppo di parametrizzazioni dei flussi turbolenti di massa e di energia termica e meccanica fra la superficie terrestre e la bassa troposfera necessarie per definire le condizioni al contorno inferiore nei modelli di circolazione atmosferica ad area limitata. I risultati furono largamente impiegati, in versioni adattate volta per volta allo specifico problema a cui venivano applicati, in studi di trasporto di massa, di intense precipitazioni o di situazioni di siccità, di interazione aria-mare, ecc.

 

Sempre su questo tema vennero sviluppate da Lombardini e Paolo Trivero linee di ricerca in radio – oceanografia basate su osservazioni di radar marini superficiali e da satellite e orientate allo studio dell’influenza del vento sulla superficie marina (collaborazioni con ASI e con il Progetto Envisat dell’ESA). Longhetto e Briatore hanno dato contributi significativi allo studio dello sviluppo di instabilità barocline atmosferiche (ciclogenesi alpina) con simulazioni di interazione flusso-ostacolo condotte nella grande vasca idrodinamica di Grenoble (collaborazione con CNRS, Institut de Méecanique dell’Università di Grenoble e University of Arizona, Tempe). Longhetto ebbe la cattedra nel 1980. Gli studi di geofisica si espansero negli anni ’80 con parecchie collaborazioni internazionali e importanti risultati. Albert Osborne, che scoprì i solitoni oceanici nell’Oceano Indiano, ha sviluppato ricerche sui moti delle grandi masse e su fenomeni non lineari prima all’ICG e poi nella Facoltà.

 

3.6.4 Fisica dello stato solido.

 

L’attività in questo campo a Torino era stata tradizionalmente sviluppata presso il Politecnico e il Galileo Ferraris. Dopo il 1970 Giorgio Montalenti (1915-1990) e Andrea Ferro Milone (1921-1988) fecero parte della Facoltà di Scienze e nacque quindi in quel periodo un gruppo di ricerca su materiali magnetici e leghe che operava presso il Galileo Ferraris. Le ricerche riguardarono metalli ad alta permeabilità, isteresi magnetica, legami tra proprietà meccaniche e magnetiche, viscosità magnetica legata a rilassamento e fatica meccanica in materiali metallici. Vi furono anche lavori sul rumore di magnetizzazione, sul campo coercitivo e sulle perdite di potenza in lamierini metallici.

 

L’attività in sede di Istituto riprese con l’arrivo di Claudio Manfredotti (1978) che iniziò nuove attività nel campo dei semi conduttori realizzando rivelatori nucleari per spettrometria gamma e dosimetria X e costituendo un piccolo gruppo di ricerca nell’ambito di Fisica superiore.

3.6.5 Calcolo.

 

I fisici sono assetati di mezzi di calcolo. La persona che piú si adoperò per sviluppare il calcolo fu Verde, fin dai tempi in cui fece comperare le prime macchine calcolatrici Marchant elettriche e via via con l’inizio del calcolo a Fisica, con l’apertura del primo centro di calcolo dell’Università e con l’introduzione di Scienze dell’Informazione nella Facoltà. La maggior parte del personale iniziale del Corso proveniva dalla fisica e dalla matematica. In queste imprese Verde ebbe l’appoggio costante di Deaglio.

 

Il primo calcolatore elettronico, in grado di preparare la versione eseguibile dei propri programmi mediante traduzione (alcuni calcolatori elettronici interpretavano programmi registrati su base magnetica nella forma dettata dall’utente, come il Texas Instruments TI59), installato a Fisica fu il modello Olivetti 6001 (Elea), arrivato nell’estate del 1962. Un aspetto significativamente diverso rispetto ai calcolatori di oggi: la memoria del 6001 era organizzata a caratteri invece che a parole. Pertanto un dato scientifico doveva essere definito come una stringa di caratteri. Questo modello era piu’ indicato per calcoli teorici con pochi dati di input che veniva dato sotto forma di un nastro perforato di carta. C’era anche un lettore di nastro magnetico usato per leggere il software di base (compilatore, caricatore, insieme di subroutines, ecc) fornito su una bobina di nastro magnetico. La memoria centrale era formata da nuclei di ferrite, una novità significativa per l’epoca. Un calcolo in virgola mobile richiedeva la presenza di subroutine di emulazione poiché il 6001 non aveva un’unità in virgola mobile. L’esecuzione di un programma richiedeva quindi la presenza di un operatore e fu assunto Sergio Bergallo.

 

I dati sperimentali piu’ voluminosi dell’epoca, derivanti dalle misure in camere a bolle e a diffusione, venivano trattati perforando schede meccanografiche a 80 colonne. Per dare un’idea del peso delle schede richieste, un chilo di schede conteneva le misure di 2800 punti fotografici. Il modello 6001 non venne usato per l’analisi di questi dati, non reggeva un lettore di queste schede.

 

Il primo calcolatore in Italia che avesse una grande capacità di memoria (32 K parole di 36 bit cadauna) e con unità di floating point integrata fu un IBM 7090 installato al laboratorio Euratom a Ispra. Alcuni fisici a turno caricavano la propria auto di pesanti cassette di schede e andavano ad Ispra per passare i giorni necessari finché fossero elaborati i dati portati. Un mezzo di calcolo cosi’ raro e costoso non poteva essere rallentato dalla lettura di grande quantità di schede meccanografiche di ingresso. Pertanto le schede venivano lette su un IBM 1401 di bassa capacità elaborativa e trasferite sul nastro magnetico che veniva poi letto sull’IBM 7090. Anche le stampe in uscita dai calcoli venivano prima registrate su nastro magnetico e poi trasferite su carta dal 1401. In questa maniera un calcolo completo richiedeva tre passaggi. Un ricordo personale di G. Rinaudo e A. Werbrouck: tornando da Ispra sentirono per autoradio le notizie dell’assassinio di John Kennedy. Era il 23 novembre 1963.

 

Era necessario controllare la perforazione delle schede, altrimenti il lavoro poteva fermarsi e si sarebbe perso il turno. Il controllo veniva svolto con un programma semplice fatto per l’IBM 750, disponibile alla sera al Centro contabile del Azienda Tramviaria Torinese, mediante l’inserimento di cavetti su di un pannello speciale che veniva inserito nel 750. Sia lo schema del cablaggio sia il software di preparazione del programma applicativo erano arrivati in Italia nel baule del borsista post doc Werbrouck. Nel 750 il programma in esecuzione era registrato su un tamburo magnetico che girava a una velocità tale che la durata dell’esecuzione di un’istruzione richiedeva un tempo poco inferiore al passaggio di sette istruzioni sotto le testine di lettura del tamburo. Il software di preparazione programmi interlacciava le istruzioni in modo che ognuna distava sette posizioni dalla sua precedente, un esempio primitivo di ottimizzazione. Sfortunatamente il fervore di certe pulizie effettuate negli Istituti di Fisica ha fatto scomparire il pannello.

 

Un regalo di Natale arrivò alla fine del 1963: l’accesso a un IBM 7040, installato al Centro Contabile FIAT Mirafiori, dopo i turni di elaborazione propria della Società automobilistica che finivano verso le ore 23 (se tutto andava bene). Il 7040 non era veloce come il 7090 di Ispra ma la comodità compensava la differenza in velocità. Si andava a Mirafiori piu’ spesso; i calcoli, se andava bene, finivano per le 3 – 4 della mattina. I fisici di quell’epoca erano abituati a portare sulle spalle scatoloni di schede pesanti piu’ di 25 chili.

 

L’acquisizione di un calcolatore scientifico (IBM 360/44) da parte dell’Università di Torino, su suggerimento del prof. Mario Verde coadiuvato da alcuni giovani fisici (Werbrouck, Pier Carlo Giolito e altri), fu un significativo passo avanti. cosí iniziò il centro di calcolo dell’Università, diretto da Verde. Per ospitare il calcolatore in un vero centro i proff. Deaglio e Verde convinsero Federico Porqueddu, responsabile dei servizi generali e meccanici degli Istituti di Fisica, ad impegnarsi a preparare in fretta una collocazione e nell’estate del 1968 sotto il suo vigilante controllo venne costruito il semi-interrato nel giardino di Fisica (noto a molti come il bunker) che oggi contiene il centro di calcolo dell’INFN e il nodo GARR dell’Università di Torino. Lí il primo centro di calcolo dell’Università di Torino iniziò la sua attività,a nei primi mesi del 1969. Il primo direttore esecutivo fu Giolito.

 

Nacque ben presto un problema legato al fatto che il 360/44, pur appartenente alla serie IBM 360 lanciata nel 1964, aveva un insieme ridotto di istruzioni, quelle necessarie alle elaborazioni scientifiche, in modo da costare poco per gli enti scientici. Dopo un po’ di entusiasmo generato dalla piena disponibilità di un proprio calcolatore cominciarono ad arrivare, da reparti non scientifici, richieste per calcoli basati su programmi scritti in linguaggi commerciali (COBOL e RPG), che venivano compilati usando istruzioni commerciali non presenti sul 360/44. Queste istruzioni venivano emulate da subroutines, una soluzione che rallentava moltissimo l’elaboratore. Inoltre, questo tipo di elaborazione richiedeva maggiore capacità e velocità nelle risorse di input/output. In pratica la richiesta del calcolo aveva superato sia la capacità dell’elaboratore sia la disponibilità di spazio. Come aggiustamento parziale al problema, il microcodice del 360/44 venne esteso con un "commercial extension" per emulare le istruzioni commerciali in modo piu’ efficiente che mediante un trap e una chiamata ad una subroutine. Inoltre veniva aggiunto un canale di I/O e dischi magnetici di maggiore capacità.

 

La fase successiva del centro di calcolo richiedeva maggiore capacità elaborativa e maggiore spazio fisico. Fu smantellata l’Aula Magna di fisica per fare posto, ma la nuova fisionomia del centro di calcolo e il suo ampliamento richiedevano una sistemazione diversa.

 

Nel 1973 il nuovo corso di laurea in Informatica si era visto assegnare tre piani di un condominio affittato in via S. Massimo 41, ma prima che fosse occupato vi fu sistemato anche il centro di calcolo in modo stipato, come si può immaginare. Il 360/44 venne sostituito dal 360/67, un modello innovativo della serie 360 adatto al metodo d’uso interattivo emergente noto anche come time-sharing. Il costo di gestione, principalmente l’affitto della macchina, era sostenuto faticosamente dall’Università. L’introito del servizio erogato era limitato da due fattori: l’incapacità dell’organizzazione universitaria di pagare operatori per turni notturni e la necessità di spegnere la macchina ad una certa ora serale per evitare ai condomini il disturbo creato dal condizionatore d’aria necessario per il funzionamento dell’elaboratore.

 

Non mancarono però iniziative di ampio respiro: una collaborazione con le Università di Padova, Bologna e Bari, con il CNUCE e il Centro Ricerche IBM di Pisa avviò un progetto nazionale di reti di calcolatori con protocollo a commutazione di pacchetto, prototipo delle moderne reti di trasmissione dati.

 

Il 360/67, con la sua memoria virtuale gestita da una unità periferica a tamburo, era il precursore della serie IBM 370 il cui modello 370/158 fu adottato dal centro di calcolo nel 1975, in sostituzione del 360/67.

 

Durante la stessa estate del 1975, con la consulenza legale del prof. Elio Casetta e l’impegno del Prof. Franco Ricca, veniva avviata la stesura dello statuto del Consorzio Piemontese per il Calcolo Automatico, adesso noto come CSI (Centro Servizi Informativi) Piemonte, tra l’Università, il Politecnico e la Regione Piemonte. Nel frattempo veniva allestita, con un’ardita ristrutturazione, un’ala dell’Istituto di Riposo di Corso Unione Sovietica.

 

 

Nota: Dopo cinque anni di gestazione il CSI-Piemonte iniziò a pieno ritmo la sua attività nel 1980 con l’acquisizione del 370/158. Il centro di calcolo proseguì ancora il servizio gestendo le connessioni remote con il CSI fino al 1983, anno di cessazione di ogni attività.

 

 

Dopo il trasferimento del centro di calcolo in Via S. Massimo, gli istituti fisici potevano avvalersi di collegamenti remoti con le risorse di calcolo tramite una linea dedicata di trasmissione dati e un terminale RJE (Remote Job Entry) prima basato su un minicomputer IBM 1130 e poi un terminale specializzato DATA100, acquistato dall’Istituto di Scienze dell’Informazione, che si era trasferito nel frattempo nell’ala sud dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris con un ingresso in via Valperga Caluso 37, l’attuale ingresso dei dipartimenti di Scienze della terra.

 

L’attuale epoca del calcolo scientifico a Fisica, indipendente dai main-frame, comincia all’inizio del 1980 con l’installazione di un VAX 11/780 al primo piano dell’Istituto di fisica ad opera dell’INFN. Iniziò per la fisica una vera e propria rivoluzione. Per la prima volta si abbandonò la schiavitu’ delle schede cartacee. Questa macchina permise all’Istituto di partecipare al grande e tumultuoso sviluppo delle reti informatiche che in poco piu’ di un decennio ha portato alla attuale Internet. Il sistema operativo VMS permetteva lo scambio di messaggi (mail) tra i vari utenti della macchina; quando fu introdotto il protocollo DECNET che permetteva a varie CPU di colloquiare si collegarono tra loro i VAX 11/78 delle varie sezioni dell’INFN. A tale scopo nei primi mesi del 1983 fu affittata, dalla SIP, la prima linea telefonica con Bologna. Questa prima rete permise ai fisici torinesi di entrare in comunicazione con la rete mondiale di comunicazione accademica BITNET scambiando i primi messaggi di posta elettronica con i colleghi sparsi nei vari laboratori italiani e stranieri. La rete informatica nazionale e internazionale della fisica era pienamente operativa nel 1984. Lo scambio immediato di dati e messaggi per via elettronica e la creazione di elenchi che raccoglievano e distribuivano le pubblicazioni scientifiche modificarono radicalmente il mondo della ricerca (almeno per i fisici).

 

Nel corso degli anni, con il miglioramento delle linee telefoniche, questa prima rete si è notevolmente evoluta ed ha portato alla costruzione delle prima rete estesa (WAN) italiana INFNET. Essa collegava tra loro tutte le Sezioni Italiane dell’INFN (che nel frattempo si erano dotate di efficienti reti locali LAN su ETHERNET), e attraverso il CERN, con tutti i laboratori mondiali che avevano adottato questo protocollo di comunicazione. Questa rete oltre allo scambio di messaggi consentiva anche l’accensione di sessioni remote permettendo di lavorare su qualsiasi calcolatore della rete stando sempre nel proprio ufficio. Nel 1986 il dipartimento di Informatica traslocò al complesso Piero della Francesca e il bunker divenne disponibile per una rinascita come centro di calcolo, questa volta dell’INFN. All’inizio degli anni ’90 la rete INFNET confluì nella prima rete accademica italiana GARR. Il sistema World Wide Web per lo scambio di documenti via Internet fu sviluppato al CERN nel 1989 e ampliato dal NCSA della Università dell’Illinois. La conseguente esplosione dei siti Web pose Internet alla portata di tutti.

3.7 Conclusione.

 

Dal dopoguerra la fisica torinese è sempre stata al piú alto livello tra gli istituti italiani. Essa ha raggiunto rapidamente un livello di innovazione, ricerca collettiva, espansione e collegamenti che costituiscono un esempio per tutta l’università; ha fornito un modello di integrazione nazionale e internazionale con cooperazioni che nascono e si sviluppano sulla base dell’affinità della ricerca e degli interessi comuni.

 

La vita scientifica della fisica ha un carattere collettivo con forte interattività tra gruppi che si occupano di problemi diversi, con presenza continua di ciascuno dal mattino alla sera in Istituto, popolato anche di sabato e di domenica (specialmente negli anni ’50 – 70). Ciò determina un ambiente di cui i primi a beneficiare sono gli studenti che vi preparano la tesi di laurea.

 

Se i risultati raggiunti dalla fisica della nostra università in tutti i campi in cui si è lavorato dai primi anni ’50 in poi sono stati fondamentali, questa attività, il cui sviluppo nel dopoguerra abbiamo delineato, non è soltanto di carattere tecnico, come qualcuno potrebbe pensare. La fisica è particolarmente adatta a promuovere una sorta di umanesimo scientifico. E questi fisici del dopoguerra fanno parte di una comunità super nazionale caratterizzata e vivacissima che costituisce un ambiente culturale, una "opinione pubblica" mondiale. In questa cultura ricercatori e studenti sono immersi, di essa condividono valori e attività che permettono di stabilire ponti tra culture diverse, contribuendo a creare un clima di collaborazione internazionale e di conoscenza reciproca, e atteggiamenti di tolleranza e di impegno per un mondo migliore. Ciò ricade sulla società e sulla cultura torinese e italiana attraverso le migliaia di studenti che negli anni hanno partecipato a questa atmosfera di rinascimento scientifico permeata di valori di cultura universale.

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Appendice.

4.1 Ringraziamenti.

Ringrazio le molte persone intervistate, in particolare Guido Bonfiglioli, Piero Brovetto, Carlo Castagnoli, Vanna Chirone Wick, Marcello Cini, Nicolò Dallaporta, Joan Rees Franzinetti, Sergio Fubini, Carola Maria Garelli, Luigi Gonella, Hilde Lanzberg Verde, Giuliano Micheletta, Federico Porqueddu, Luigi A. Radicati di Brozolo, Tullio Regge, Italo Tricomi, Maria Vigone, Albert Werbrouck. Esse mi hanno aiutato molto, ma non sono responsabili delle inesattezze nel mio racconto.

4.2 Abbreviazioni.

APS = American Physical Society
ARAR = Agenzia Rilievo e Alienazione Residuati
ASI = Agenzia Spaziale Italiana
Berkeley = University of California at Berkeley, CA, USA
BNL = Brookhaven National Laboratory, Long Island, NY USA
CalTech = California Technological Institute, Pasadena CA
CEBAF = Continuous Electron Beam Accelerator Facility (oggi Thomas Jefferson National Lab), Newport, Virginia
CERL = Central Electricity Research Lab, di Leatherhead, UK
CERN = European Laboratory for Particle Physics, Ginevra Svizzera
CNR = Consiglio Nazionale delle Ricerche
DAFNE = acceleratore per produzione di mesoni phi ai LNF
DESY = Deutsches Synchrotron Laboratory, Amburgo
EdF = Electricité de France
ECMWF = European Center for Medium Range Weather Prediction di Reading, UK
ESA = European Space Agency
ETH = Eidgenossische Technische Hochschule, Politecnico Federale di Zurigo
Fermilab = E. Fermi National Lab, Batavia IL
GARR = Gruppo Armonizzazione reti di Ricerca
IAS Institute for Advanced Study, Princeton N.J.
ICG Istituto di Cosmo geofisica del CNR di Torino
ICTP International Centre of Theoretical Physics, Trieste
INFN = Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
ISR = Intersecting Storage Rings, del CERN
JINR = Joint Institute for Nuclear Research, Dubna (Mosca)
LEAR = Low Energy Antiproton Ring al CERN
LEP = Large Electron Positron, collisore di elettroni e positroni al CERN
LHC = Large Hadron Collider, collisore per protoni in costruzione al CERN
LNF = Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN
LNGS = Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN
LNL = Laboratori Nazionali di Legnaro delll’INFN
LNS = Laboratori Nazionali del Sud a Catania dell’INFN
MIT = Massachusetts Institute of Thechnology
NBI = Niels Bohr Institute, a Copenhagen
PEP = Positron Electron Project, collisore di elettroni e positroni a SLAC
PS = Sincrotrone per protoni, del CERN
RD = Relazioni di dispersione
RM = Rappresentazione di Mandelstam
SC, SC2 = Sincro Ciclotrone, del CERN
SIN = Schweizerisches Institut f"ur Nuclear Forschung, Villigen, Zurigo (oggi Paul Scherrer Institut)
SLAC = Stanford Linear Accelerator Center, Stanford University
SCOR = Scientific Committee on Oceanic Research
Serpukhov = Laboratorio del Sincrotrone per Protoni da 76 Gev, Protvino (regione di Mosca)
Stanford = Stanford University, Stanford California
SpS = Super Proton Synchrotron, del CERN
SppbarS = SpS usato come collisore con fasci di protoni e antiprotoni
TRIUMPH = Triangle University Meson Facility (520 MeV), Canada
UCLA = University of California at Los Angeles, CA USA

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4.3 Nomi citati.

ADEMOLLO M
ADLER S.
AGENO M.
AIMONE R.
ALBERICO W.
ALGOSTINO G.
ALIKHANIAN A.
ALIVERTI G.
ALLARA M.
ALLASIA D.
AMALDI E.
AMALDI U.
AMATI D.
ANSELMINO M.
ANTONUCCI E.
ARAGO F.
ASCOLI R.
AVOGADRO A.
BALDO CEOLIN M.
BALESTRA F.
BALLESTRERO A.
BARUCCHI G.
BASTAI A.
BATTELLI A.
BEAUMONT C.F.
BECCARIA F. (p. G.B.)
BELLION
BENEDETTO A.
BEREZINSKI V.
BERGALLO S.
BERGAMASCO L.
BERNARDINI G.
BERNARDINI M.
BERTINI R.
BERTOCCHI L.
BERTOLINO G.
BETHE H.
BIALKOWSKI G.
BIEDENHARN L.C.
BISI V.
BJORKEN J.D.
BLACKETT P.M.S.
BLOKHINZEV D.I.
BOGGIO T.
BOGINO G.B.
BOGOLUBOV N.N.
B"OHM C.
BOLOGNA G.
BONAZZOLA G.C.
BONFIGLIOLI G.
BONINO G.
BORREANI G.
BORRELLI N.
BORSELLINO A.
BOSCO B.
BOTTINO A.
BOTTO G.
BOTTO G.D.
BRESSANI T.
BRIATORE L.
BROVETTO P.
BUDINICH P.
BUSSETTI G.
BUSSO L.
BUTLER C.C.
CAIANIELLO E.
CALDIROLA P.
CAMPAGNA P.
CANONICA (p.)
CARAZZA RIBOT B.
CARERI G.
CARLO ALBERTO
CARLO EMANUELE III
CASETTA E.
CASSINI C.
CASTAGNOLI C.
CAUCHY A.
CERIANA MAYNERI M.
CESTER R.
CHARPAK G.
CHEW G.F.
CHIAVASSA E.
CHIO` F.
CHUDAKOV A.
CIGNA G.
CINI G.
CINI M.
CIOCCHETTI G.
CIRIO F.
COLOMBINO P.
COLONNETTI G.
COMTE A.
CONVERSI M.
CORBINO O.M.
CORTINI G.
COSTA S.
CRESTI M.
D’ADDA A.
DALLAPORTA N.
DAL PIAZ P.
D’AURIA R.
DEAGLIO R.
de ALFARO V.
DEBENEDETTI A.
DE BENEDETTI S.
de BROGLIE L.
DEGREGORI I.
DELEUIL L.J.
DELLACASA G.
DEL SANTO P.P.
DE MARCO A.
DEMICHELIS F.
DILWORTH C.
DIRAC P.A.M.
DI VECCHIA P.
DODERO M.A.
DOSCH G.
DYSON F.
EANDI, G.A.
FACCHINI U.
FANO U.
FARINELLI U.
FAVELLA L.
FERMI, E.
FERRARI A.
FERRARIS, G.
FERRARO M.
FERRERO, A.
FERRERO F.
FERRERO L.
FERRERO M.I.
FERRETTI B.
FERRETTI P.
FERRO MILONE A.
FERRONI S.
FESHBACH H.
FEYNMAN R.
FIDECARO G.
FIERZ M.
FISCELLA B.
FONTENELLE B.
FOLLINI G. (p.)
FRANKLIN B.
FRANZINETTI C.
FRÉ p.
FUBINI S.
FUMI F.
FURLAN G.
GALEOTTI P.
GALLINO R.
GALLIO M.
GAMBA A.
GAMBA D.
GARBASSO, A.
GARELLA M.P.
GARELLI C.M.
GARFAGNINI R.
GARRO (p.)
GATTO R.
GELL-MANN M.
GENTILE G. (junior)
GHERARDI S.
GHIGO G.
GIACOSA G.
GIFFON M.
GIGLI BERZOLARI A.
GIOLITO P.C.
GIOVANNINI A.
GLIOZZI F.
GODDARD P.
GOLDSTONE J. 6
GONELLA L.
GOVI G.
GRAFFI D.
GREINER W.
GURSEY F.
GRECO M.
HAN M.Y.
HANSON A.J.
HANSON A.O.
HEISENBERG W.
HOFSTADTER R.
HOUTERMANS F.
INFELD L.
IVANENKO D.A.
JACKIW R.
KENNEDY J.F.
KITA H.
KHALATNIKOV I.M.
KOSTERLITZ M.
LAGRANGE, G.L.
LAPLACE P.S.
LATTES C.
LEADER E.
LEE T.D.
LEVI P.
LEVI SETTI R.
LEVY M.
LOMBARDINI P.P.
LONGHETTO A.
LONGONI A.
LOVERA G.
L"USCHER M.
MAC MILLAN M.
MAJORANA E.
MAJORANA Q.
MALVANO R.
MANFREDINI A.
MANFREDOTTI C.
MARCHETTO F.
MARGHEM N.
MARINGELLI M.
MAROCCHI D.
MARSHAK R.
MARZARI CHIESA
MASANI A.
MASERA G.
MATTUCCI I.
MAXWELL J.K.
MENICHETTI E.
MERLIN M.
MICHELETTA G.
MILONE M.
MINARDI E.
MINETTI B.
MOLINARI A.
MONGE G.
MONTALENTI G.
MOSCONI B.
MUIRHEAD H.
MUSSO A.
NABHOLZ H.
NACCARI A.
NAMBU Y.
NAPOLITANO E.
NAVARRA G.
NEEMAN Y.
NIELSEN H.C.
NOLLET J.A.
OCCHIALINI G.
OLIVE D.
OSBORNE A.
PACINI D.
PALAZZO L.
PANCINI E.
PANETTI M.
PASQUARELLI A.
PASSARINO G.
PAULI W.
PEGORARO F.
PEIERLS R.
PENENGO P.
PERENO G.
PERRONE G.
PERSICO E.
PERONI C.
PERUCCA E.
PIANO A.
PICCHI P.
PICCIONI O.
PIRAGINO G.
PLANA G.
POCHETTINO A.
POLLAROLO G.
PONTECORVO B.
PONTREMOLI A.
PONZANO G.
PORQUEDDU F.
POWELL C.
PREDAZZI E.
PRIESTLEY J.
PUCCIANTI L.
PUPPI G.
QUARATI P.
QUASSIATI B.
RACAH G.
RADICATI DI BROZOLO L.A.
RAINERI M.T.
RASETTI F.
RASETTI M.
REBBI C.
REGGE T.
RICAMO R.
RICCA F.
RICCATI L.
RINAUDO G.
ROCCA G.
ROCHESTER G.D.
ROMA (p.)
ROMERO A.
ROSSETTI C.
ROSSI B.
ROSTAGNI A.
RUBBIA C.
RUBINO C.
SAAVEDRA O.
SALUZZO DI MONESIGLIO G.
SALVETTI F.
SARTORETTI G.
SASSO G.
SCHERK J.
SCHERRER P.
SCHIFF L.
SCHWARZ J.
SCHWINGER J.
SCIUTO S.
SECCHI A.
SEGRE’ E.
SEN P.
SERTORIO L.
SILVA E.
SILVESTRO G.
SITTE K.
SOMIGLIANA G.
STANGHELLINI A.
STENDHAL
STROFFOLINI R.
SUSSKIND D.
TALLONE L.
TEITELBOIM C.
TELEGDI V.
TENCONE B.
TECCHIO L.
THIRRING W.
‘t HOOFT G.
THORN C.B.
TOMASINI G.
TOMONAGA S.
TONIN M.
TOUSCHEK B.
TRABUCCO A.
TRIBUNO C.
TRICOMI F.G.
TRICOMI I.
TRINCHERO G.
TRIVERO P.
TROSSERO P.
TROSSI L.
VALSASNA L.
van DER MEER S.
VASCHETTI C.
VASSALLI EANDI, A.M.
VELTMAN M.
VENEZIANO G.
VERDE M.
VIGIER J.P.
VIGONE M.
VIOLINO P.
VIRASORO M.
VITALE B.
VITTORIO AMEDEO II
VOLTAIRE
WATAGHIN G.V.
WATAGHIN W.
WEINBERG S.
WEISBERGER W.
WEISSKOPF V.
WERBROUCK A.
WHEELER J.A.W.
WICK G.C.
WIDERÖE R.
YUKAWA H.
ZATZEPIN G.
ZEULI T.
ZUMINO B.
ZWEIG G.

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